LA SALUTE E LA CITTÀ DEL FARE
Nel mese di novembre 2010 sono incominciate le celebrazioni per il IV° centenario della canonizzazione di san Carlo Borromeo non solo in Italia, ma anche nel resto del pianeta. L’opera del santo non è limitata al territorio in cui fu vescovo, la città di Milano, ma si estende anche a Bologna, dove fu legato pontificio nella metà del Cinquecento. Durante la sua legazione fu costruito il palazzo dell’Archiginnasio, per dare una sede unitaria alla più antica Università del mondo occidentale (il suo nome è citato nei prospetti di alcune sale), e fu approvato il progetto della statua del Nettuno.
Il convegno dal titolo Bologna, san Carlo Borromeo e la modernità è sorto dall’esigenza di fare tesoro del testo e delle opere di san Carlo Borromeo nell’attuale, non per una lettura religiosa e tanto meno per fare l’apologia di un santo. Con il libro di Fabiola Giancotti Per ragioni di salute. San Carlo Borromeo nel quarto centenario della canonizzazione 1610-2010 (Spirali), noi constatiamo il testo autentico di Carlo Borromeo e la sua opera di costruzione della città, che restano di una modernità assoluta in quanto sorretti non da criteri conformisti o protocollari, ma dall’istanza del tempo: dall’occorrenza. Sin da quando svolge gli studi giuridici, san Carlo coglie che il profitto, nella scrittura delle cose che si fanno secondo l’occorrenza, è acquisizione perenne. Con l’esperienza della peste del 1576-77 – divenuta nota poi come la “peste di san Carlo” per il ridotto numero di perdite umane in confronto alle altre pestilenze degli anni successivi –, prova che la salute è innaturale perché esige di attenersi all’occorrenza in ciascun istante. La salute non è qui intesa come l’assenza di malattia, non è l’assenza di problemi, non è lo stare bene, ma è istanza di qualità. È la salute – come nota l’autrice del libro – “senza compromessi con la malattia, quella senza l’economia della morte, quella senza progressione o evoluzione dalla infermità”. Approda alla salute chi affronta le questioni seguendo il “come fare” non il “che fare”: come costituire dispositivi organizzativi, dispositivi d’impresa, di direzione nella città. Come costituire dispositivi di riuscita. La salute è istanza di valorizzazione che esige il pragma.
L’importanza di questo bellissimo libro è constatabile nel suo valore di libro d’arte, con le 62 opere inedite degli artisti del Museo del secondo rinascimento in esso raccolte; nel fine lavoro di ricerca anche linguistica dell’autrice rispetto ai testi di san Carlo Borromeo; negli scritti di celebri e illustri scrittori italiani quali, tra gli altri, Torquato Tasso, Carlo Maria Maggi, Alessandro Manzoni, Cesare Cantù, Aldo Gerbino; nell’opera filologica di glossario e dizionario tratti dai testi di Carlo Borromeo. È il frutto di un’infaticabile attività di ricerca durata cinque anni, tanto da far valere al libro l’appellativo di “enciclopedia borromaica”: già solo gli indici costituiscono un libro nel libro, un viaggio tanto inedito quanto intenso.
Ma l’opera di Fabiola Giancotti è molto di più. Importa come si dicono le cose. Questione di ascolto. L’ascolto ha come garanzia l’assoluzione: ab solutus, non c’è più soluzione, non c’è più peccato, le cose procedono dall’apertura per giungere alla qualità. Anche per questo è un libro in cui il fare non viene moralizzato, cioè non viene inscritto in un fine benevolo o malevolo, funzionale alla sostanza sicura che offrono i pregiudizi. Per ragioni di salute offre l’occasione “per dare modo a ciascuno di cercare, di trovare e d’intraprendere. Cioè di vivere in salute”, conclude l’autrice. È un libro che valorizza la cultura della costruzione. Non a caso san Carlo è indicato come il “santo costruttore”, un santo imprenditore. Cercando e facendo, comprando e vendendo, ciascuno ha occasione di partecipare alla costruzione di un’altra civiltà, di un’altra città: la città del tempo, la città dell’accoglienza. La città non è spaziale. È temporale. Ciascuno esiste nel tempo anziché nello spazio. La città si fa d’invenzione e di arte, procedendo dall’apertura, poggia sul tempo. È città industriale, nel senso di città dell’impresa di cose che non finiscono. La città, dunque, dell’industria della parola. La città che procede dall’inconciliabile. Dove non tutto dev’essere armonia sociale, conformismo sociale, politico, culturale, artistico. Questa la città del fare.
Nel libro di Giancotti sorprende il caso, mirabilmente indagato, della peste di Milano del 1576. Il Borromeo è intervenuto rispetto alla peste pur non sapendo, ma puntando alla riuscita. Qui il dettaglio diviene cifra e giunge alla comunicazione pragmatica: la questione è lo statuto di ciascuno nel dispositivo della città. Scrive l’autrice: “Già nel racconto del Ripamonti, il Borromeo non è fatalista. Si documenta negli archivi, acquisisce nozioni di medicina, di economia, per la distribuzione del cibo, dei vestiti, per l’organizzazione delle cure, ma anzitutto non lascia nessuno senza la parola. [...] Carlo Borromeo trova giorno per giorno i modi per provvedere alle varie necessità delle persone colpite da contagio, ma pure rimaste in città e che a lui si affidavano. Contrastato e disapprovato dai notabili, le cui conoscenze rendevano loro incomprensibile il disegno, addirittura accusato e denunciato, l’Arcivescovo mette in gioco le sue armi. Efficacissime, poiché sono quelle della parola. Cioè la preghiera, la speranza, l’ascolto, la fede, il fare, il concludere”.
Questa la modernità di Carlo Borromeo, la modernità che esige la salute: la restituzione della vita in termini di qualità. Facendo, niente più paura. E santo è operare con spirito costruttivo, con la fede che è fede nella riuscita, perché le cose si scrivano.
Camminare sulla terra non vuol dire essere lontani dal cielo, ma è occasione di esercizio virtuoso.
Di questa salute si occupa il cifrematico.
**Il testo di Caterina Giannelli è tratto dal suo intervento al convegno dal titolo Bologna, san Carlo Borromeo e la modernità (Sala dello Stabat Mater, Palazzo dell’Archiginnasio, Bologna, 3 dicembre 2010)