ARTE E IMPRESA: I PRIMI 50 ANNI
1960-2010: cinquant’anni di un viaggio straordinario che Casalgrande Padana ha voluto celebrare commissionando al maestro giapponese Kengo Kuma la sua prima opera architettonica in Italia, la Casalgrande Ceramic Cloud, nuova porta simbolica del distretto ceramico emiliano. Considerando fino a che punto l’attenzione all’uomo e all’ambiente ha accompagnato il crescente sviluppo del vostro Gruppo, forse non è un caso che questo mezzo secolo di vita sia stato coronato proprio da un monumento dell’architetto che, come diceva Leonardo da Vinci del vero artista, più di ogni altro “gareggia con la natura” senza mai sovrapporsi a essa…
Abbiamo percorso i nostri primi cinquant’anni considerando la tutela dell’ambiente, il massimo livello possibile di sicurezza sul lavoro e la qualità dei prodotti e del servizio, nel rispetto assoluto dei clienti, come fattori prioritari, e non secondari o accessori, per la creazione di valore. La nostra è un’impresa responsabile, non finalizzata alla redditività a breve, ma capace di attenzione al mondo che la circonda, e siamo convinti che il benessere generale ci aiuti anche nel nostro cammino. Certamente l’incontro con Kengo Kuma non è stato casuale: è definito “l’architetto senza architettura”, tanto è grande la sua capacità di realizzare opere in armonia con la natura. Da anni ha dichiarato l’esigenza di un’inversione rispetto alle tendenze del XX secolo, in cui una costruzione era considerata “oggetto sullo sfondo”, e si è focalizzato invece su poche e essenziali geometrie, per dare vita a un’architettura povera di segni ma tutta incentrata sulle relazioni con la luce, con le forme primarie dello spazio, con la natura e l’ambiente. Ma questo incontro non è stato casuale anche perché la nostra storia è sempre stata fortemente caratterizzata dal sostegno a iniziative di grande rilievo nel campo del progetto d’architettura, tant’è che nel 1990 abbiamo istituito il concorso Grand Prix, che ormai è uno dei più accreditati appuntamenti internazionali nel campo dell’architettura in ceramica, per premiare ogni anno le opere che meglio hanno saputo valorizzare le proprietà tecniche e le potenzialità espressive degli elementi in grès porcellanato prodotti dalla nostra azienda. Ebbene, nel 2007, proprio durante la premiazione per questo concorso a Palazzo Vecchio a Firenze, Francesco Dal Co, noto professore di architettura, presentò Kengo Kuma a me e a mio figlio Mauro, che poi ha seguito tutti gli aspetti della collaborazione sia con lo studio giapponese sia con l’università, nelle figure dei docenti Alfonso Acocella e Luigi Alini, entrambi già impegnati in una più ampia ricerca sui materiali ceramici, da noi affidata alle loro rispettive Università di Ferrara e Catania.
Oggi il marchio Casalgrande Padana, affermato nei cinque continenti in oltre settanta paesi, comunica affidabilità, flessibilità, innovazione e funzionalità. Ma fino a che punto la vostra leadership mondiale nella produzione del grès porcellanato è basata anche sulle doti di umiltà del presidente, quest’anno nominato Cavaliere del Lavoro da Giorgio Napolitano?
Sono doti riconosciute alla nostra azienda, noi non abbiamo mai fatto voli pindarici, più che scattisti siamo sempre stati fondisti, abbiamo camminato guardando molto avanti, non limitando il nostro obiettivo a cento metri per poi crollare stremati. Quindi, contiamo di proseguire così, senza nulla togliere agli scattisti. L’umiltà è importante nell’approccio al cliente, perché l’azienda esiste solo se c’è il cliente. Ma il cliente va raggiunto, conquistato e poi mantenuto, e questo comporta la massima lealtà nei suoi confronti, il rispetto delle regole, degli accordi e l’ascolto delle esigenze e delle idee che intervengono strada facendo, sempre in direzione della qualità e del miglioramento continui.
Lei ha incominciato la sua carriera nel 1961, come ragioniere, primo dipendente assunto di Casalgrande Padana; due anni dopo è diventato socio e nel 1974 presidente e amministratore delegato. Con l’acquisizione della Riwal Ceramiche nel 2006, oggi è alla guida di un gruppo che dà lavoro a 1150 persone. In che modo, dall’attività di ragioniere è giunto a occuparsi di vendita e quindi d’impresa?
All’epoca, un ragioniere aveva due strade: o si dedicava alla libera professione o faceva il manager. Io volevo divenire imprenditore, perché era più attinente alla mia indole. Quando entrai in azienda, ero l’unico in possesso di un diploma, per cui avevo ruoli dirigenziali, ho avuto anche la fortuna di avere un presidente che lasciava fare, quando c’erano i presupposti per potersi fidare: mi occupavo della contabilità dopo cena, mentre durante il giorno seguivo le vendite, perché capivo che il commerciale è l’unico settore che porta i soldi, gli altri li spendono. Come dicevo prima, è il cliente che fa l’azienda. Questo lo capivo allora ed è una costante ancora oggi: l’aspetto di cui mi occupo principalmente è il flusso degli ordini e, se comincia a scarseggiare, mi preoccupo, perché è inutile pensare di sopravvivere facendo economia, la vita dell’impresa è assicurata dalla vendita.
In effetti, lei aveva assunto il destino dell’impresa anche quando avrebbe potuto limitarsi al controllo di gestione, come a volte fa qualche collaboratore…
Infatti, non capisco come ci si possa interessare solo di controllo e non di prodotto e di vendita. Chi lo fa è fortunato, evidentemente, ha qualcuno che pensa a dargli qualcosa da controllare. Sembra una cosa banale e ovvia, invece non lo è affatto.