UN VERO ARTISTA NON SI LIMITA

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
presidente della Tonino Lamborghini Style and Accessories

Ambasciatore del made in Italy nel mondo, nel 1981 lei ha fondato la Tonino Lamborghini Style and Accessories, proprio mentre, poco più che trentenne, era presidente di varie aziende del Gruppo di famiglia. Nel 1983, apriva il primo negozio monomarca a Hong Kong, in un momento in cui era un’avventura passare le frontiere. Oggi, il vostro marchio è apprezzato in tutto l’Oriente asiatico, con 12 flagship store tra Hong Kong e Macau e 120 shop-in-shop nelle principali città cinesi, ed è distribuito in oltre 15.000 prestigiosi punti vendita nel mondo. Ma ciò che nel suo itinerario ha ereditato maggiormente dal rinascimento – oltre alla bellissima sede alle porte di Bologna, il cinquecentesco Palazzo del Vignola – è la capacità di portare all’eccellenza ciascuno dei differenti prodotti (ben 36, in 7 aree tematiche) che nascono dalla sua Officina di progettazione creativa, proprio come una bottega del rinascimento che non si precludeva nessun aspetto dell’invenzione e dell’arte…

Puntiamo all’eccellenza e speriamo di riuscirci, mettendoci costantemente alla prova. Non è facile, perché ciascuna volta occorre inventare modi differenti di proporre un prodotto, che è nuovo non solo per il suo contenuto rispetto a quanto c’era prima sul mercato, ma anche come genere: vendere un orologio non è come vendere una caldaia, occorre imparare una nuova lingua ciascuna volta. Ma questa è stata la mia scommessa fin da quando gestivo le aziende di mio padre e gli chiesi un parere sulla strada che volevo intraprendere. Dopo avermi raccomandato di non dimenticare il mio compito principale – quello di direzione del Gruppo di famiglia –, mi disse che era giusto che seguissi la mia vocazione e, tuttavia, mi consigliò di focalizzare il mio business su due o tre prodotti. Rimanere ancorato a un settore, però, era un limite alla mia creatività e, poiché avrei mantenuto questa attività come un hobby, fino alla cessione delle aziende che assorbivano il mio impegno primario, pensai che nel gioco fosse giusto assecondare la mia indole, la mia voglia di provare sempre nuovi prodotti, nuovi mercati, nuove strategie. 

Chi l’avrebbe mai detto che nel 2009, a distanza di quasi trent’anni, il gioco sarebbe cresciuto tanto da registrare un giro d’affari di 180 milioni di euro? 

Sì, ma forse la cosa più importante da dire è che le nostre 36 linee produttive non sono licenze tout-court, noi non cediamo il nostro marchio senza interessarci dei prodotti sui quali viene applicato, come purtroppo fanno in tanti: le nostre licenze sono autorizzazioni a produrre per nostro conto, non di disporre del nostro nome come si vuole. Questo fa molta differenza, perché comporta un lavoro di equipe in cui il talento di chi cura il design si affianca costantemente all’esperienza di chi industrializza il prodotto, per raggiungere il massimo risultato possibile. Non sempre chi industrializza riesce a cogliere i dettagli che concorrono allo stile di un prodotto e a individuare i difetti da eliminare. 

Il vostro è un caso emblematico della funzione del marchio nell’era della globalizzazione: in un momento in cui molte aziende registrano forti riduzioni di fatturato, voi avete avuto un incremento. La qualità e l’affidabilità pagano sempre di più…

Il marchio è una grande garanzia, perché nessuno mette a repentaglio una reputazione costruita con tanta fatica. Nonostante sia partito avvantaggiato da un nome molto conosciuto, ho dovuto lottare contro il pregiudizio del sistema della moda, che non accettava chi non seguiva i suoi schemi. In tutta la mia vita, ho fatto soltanto due o tre sfilate: essendo un designer, più che un sarto o uno stilista, ho sempre cercato di propormi in maniera alternativa. Percorrere una strada parallela e non conforme alle regole del gioco, però, all’inizio ha suscitato veri e propri attacchi sui media, così feroci che li ricordo ancora, a distanza di trent’anni. Ricordo il primo articolo che uscì su “Vogue Uomo”, un’intera pagina, che lessi in macchina davanti all’Hotel Baglioni di Firenze e mi lasciò senza parole. “Ma chi è questo che si permette d’invadere un settore che non è il suo, continui a fare trattori e caldaie”: era questo il tono con cui intervenivano i giornalisti all’epoca. 

Con il rinascimento, l’arte e l’invenzione sono intersettoriali e internazionali, l’artista non può fossilizzarsi in un luogo, in una tecnica o in un settore. Anche in questo senso, Tonino Lamborghini è erede del rinascimento…

Chi si limita, specializzandosi in un solo prodotto, può definirsi un buon artigiano, non un artista; l’artista ha bisogno di sperimentare continuamente nuovi ambiti, nuove tecniche, nuovi materiali e di mettersi alla prova, man mano che procede il suo cammino. Anche se questo non vuol dire che non abbia una propria cifra stilistica, che consente di distinguere ciò che esce dalla sua casa. Fonte d’ispirazione in questo senso sono stati per me Hermès e Gucci prima e seconda maniera, che hanno ricavato una filosofia estetica dall’accessorio equestre: traslati nel mondo dei motori, il morso anteriore per me è diventato una biella, l’anella che viene utilizzata a lato della bocca del cavallo un cuscinetto, e via di seguito, fino a dare la stessa atmosfera che respirano gli appassionati di un mito come la Miura, lo stesso lifestyle.