PAROLE DI VITA E GESTI DI LIBERTÀ NEI MONASTERI
La Fondazione “Pasquale Valerio per la Storia delle Donne”, che vuole riconsegnare alla storia la presenza viva e significativa delle donne, ha elaborato il progetto internazionale Le donne e i Luoghi della Memoria, al fine di dare visibilità agli istituti religiosi (monasteri, conventi, educandati, conservatori, ospizi) che hanno accolto le donne e che le stesse donne hanno resi vivi, animandoli di colorate esperienze umane. La ricerca ha visto coinvolte le città di Salamanca, L’Avana e Napoli.
Per tutta l’età moderna, gli istituti religiosi sono stati a Napoli luoghi privilegiati che hanno consentito alle donne di gestire un proprio spazio a dispetto della loro monacazione, scelta o forzata che fosse. E tale storia non riguarda solo la dimensione del sacro (preghiere, liturgie, devozioni, letture), ma anche la vita sociale, economica e culturale. La condizione di vita in queste istituzioni femminili emerge, infatti, attraverso i rapporti economici (uso del denaro, investimenti, doti), il dispiegarsi della vita quotidiana (regolamentazione delle giornate, lavoro, alimentazione, gestione dei ruoli interni di convivenza tra donne), le relazioni sociali e politiche che si manifestano nel difficile equilibrio dei ruoli pubblici (rapporti conflittuali con la società civile e il potere ecclesiastico, legami complessi con le famiglie di appartenenza).
Gli istituti religiosi sono dunque stati per le donne il luogo del vivere dove esse hanno potuto esprimere capacità e potenzialità: luogo d’identità – per le possibilità che le donne hanno avuto nel riconoscere se stesse e i propri ruoli; luogo di relazioni – per la necessità che hanno avuto nell’imparare a tessere rapporti interni con le altre donne, ma anche con le famiglie d’origine e con i poteri politici e religiosi della città; luogo di libertà – per le occasioni che alcune hanno avuto di esercizio autorevole nella gestione della vita comunitaria; luogo di cultura – per la capacità di far circolare cultura attraverso la committenza artistica, l’esecuzione di opere teatrali, la pratica della musica e delle cosiddette arti minori; luogo di spiritualità – per l’intelligenza della fede che ha consentito loro di esprimere il senso della vita nella dimensione trascendente.
Non si può tacere il fatto che gli istituti religiosi siano stati anche luoghi del dolore e della disperazione, sia per le donne costrette da rigide leggi familiari a subire una vita non scelta, sia per quelle che, pur vivendo consapevolmente una dimensione religiosa, sono andate incontro a incomprensioni, diventando oggetto di gelosie, soprusi e discriminazioni. Tuttavia, l’esperienza religiosa delle donne indica anche presenza significativa, parole di vita, gesti di libertà, scelte etiche, domande di fede. Le donne hanno espresso la capacità di tramutare la propria vita da “predefinita” a “scelta”, di vederla vivificata nella dimensione di una fede che affranca, in quella pluralità di mediazioni tra le norme e le dottrine, da una parte, e modalità di accettazione e di ricezione, dall’altra.