IL GLOBALE È INTELLETTUALE

Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrante, imprenditore

Intervista di Sergio Dalla Val 

Con l’11 settembre, con l’attacco alle Torri, cosa finisce e cosa incomincia per la politica?

Tutto incominciò, fin dalla Bibbia, o anzi non incominciò, con la torre: Babele, ovvero l’idea di una padronanza impossibile sulla lingua e sulla parola, sulla terra e sul cielo, come sulla repubblica. Questa idea di padronanza avrebbe portato alla confusione o alla fusione linguistica. Con Babele, un primo teorema: non c’è più fusione. L’altra lingua esclude la fusione e, pertanto, la confusione. Se non c’è più conciliazione del positivo e del negativo, dell’alto e del basso, della simmetria e dell’asimmetria, del corpo e della scena (dunque, nessuna mediazione, nessun passaggio, nessun superamento, nessuna terza via, cioè nessuna sintesi fra il positivo e il negativo), non c’è più fusione.

La non lettura della Bibbia implica il ricordo, cioè la cancellazione della memoria. Nulla contro la torre, nulla contro Babele, nessuna confusione, nessuna fusione: ciascuno parla nell’altra lingua, in una lingua che non è materna, che non è padronale, che non è nazionale.

Perché la sintesi, la mediazione non è una risposta innanzi all’aut aut del conflitto politico, del principio dell’alternativa?

Aut aut e vel vel. Aut aut non sta dinanzi, ma il principio del terzo escluso pone l’aut aut dinanzi, il positivo e il negativo dinanzi. C’è quindi la mediazione, la conciliazione e l’equilibrio fra le cose che stiano dinanzi, oppure si cerca la terza via: bisogna scegliere tra il positivo e il negativo, fra l’Unione sovietica e l’America o viceversa, oppure inseguire una superiore sintesi, la famosa terza via. Il quadro può riproporsi come quadrato logico o gnostico, e cioè né la Russia, né l’America ma la terza via, la superiore sintesi. Questa unità ideale è, ancora una forma di romanticismo, di ideologia illuministico-idealistica. La terza via è sempre la sintesi, è sempre la conciliazione, è sempre il compromesso. Il compromesso, che sia storico o sociale o politico o finanziario, è sempre il compromesso. Quindi l’aut aut posto dinanzi insegue sempre questa terza via ed esclude sempre la politica altra, la politica dell’Altro, la politica del tempo e la diplomazia. Esclude sempre, quindi, sia la città, l’impresa costituita dall’arte e dall’invenzione, sia la lingua altra, la lingua diplomatica, quella con cui l’impresa si scrive.

 

Esistono ancora i due blocchi?

 

I due blocchi non ci sono più. Dopo l’11 settembre non c’è più, caso mai ci fosse stata l’idea, il monoblocco, non c’è più, per dirla in maniera più precisa, blocco. Dopo l’11 settembre è impossibile immaginare o credere che gli Stati Uniti siano l’impero del pianeta. È chiaro che ciascun paese si trova coinvolto verso la civiltà, che non è già data, non è scontata, non è mai alle spalle. Così l’Europa ha ben altro che sentirsi sottostante agli Stati Uniti o in concorrenza. E la Russia ha ben altro che sentirsi al limite, di essere considerata un paese in via di sviluppo, secondo la formula degli anni sessanta. La Russia emerge a pieno titolo e a pieno titolo emerge l’Islam come essenziale in questo viaggio. È chiaro che l’Islam non può essere considerato una sottocultura o una sottociviltà. Il discorso che si è proposto, quello che ha abbattuto le Torri non è l’Islam, è il discorso occidentale, è quello che propone l’aut aut dinanzi. Le due Torri, terminate negli anni settanta, sarebbero i simboli dell’America, intendendo gli Stati Uniti d’America? Bin Laden è un rappresentante a pieno titolo del discorso occidentale, non dico dell’occidente, dico del discorso. L’antagonismo è il modo stesso dell’aut aut. E l’antagonismo porta sempre alla terza via. Questo nel discorso occidentale, nella misura in cui questo discorso diventa sempre più definito dalla gnosi.

 

L’11 settembre conferma o dissipa le critiche alla globalizzazione?

 

Mai come ora il globale è senza più l’impero. L’America, l’Europa, la Russia, l’Islam. E che dire dell’accoglienza che ha avuto, già con Deng Xiao-ping, il capitalismo in Cina? Che dire di quello che si chiama lo sviluppo enorme degli anni novanta della Cina? Certamente, c’è questo apparato dottrinario, ideologico, che apparentemente sarebbe l’apparato proprio del discorso occidentale, sarebbe il marxismo-leninismo in versione maoista, ma questa versione è l’esito di un accoppiamento, diciamo così, con la tradizione. Questa tradizione, tra virgolette, è convocata oggi a un innesto con la modernità planetaria, quella che porta il Giappone, un paese di centotrenta milioni di abitanti, a essere la seconda cosiddetta potenza economica mondiale.

 

Ma il Giappone è in crisi, e forse lo è tutto l’Occidente.

 

La crisi è la proprietà dell’impresa, della città, della civiltà. È il giudizio. Crisis è il giudizio. Nessuna lingua divina. Ma l’altra lingua, propria alla scrittura del labirinto, e la lingua altra, propria alla scrittura del paradiso.

 

Qual è l’apporto dell’altra lingua e della lingua altra alla comunicazione?

 

Oggi c’è un’altra rivoluzione, quella telematica. Contro questa rivoluzione, sorge un’altra ideologia, per reazione.

Il pianeta stava indugiando molto intorno alle cosiddette materie prime, e già Aristotele parla di materie prime. Quali sono le materie prime? Il petrolio, per esempio, perché è determinante di politiche, orientamenti, strategie, alleanze. In questo secolo una prima indicazione è sorta dall’11 settembre: l’attenzione si sposta dalle materie prime, dal petrolio, alla comunicazione, alla telecomunicazione.

È chiaro che l’abbattimento delle due Torri e l’attacco al Pentagono sono segni di una comunicazione diretta. La telecomunicazione è chiaramente comunicazione indiretta, comunicazione che avviene perché le cose si scrivono e si scrivono le cose che si fanno – si scrivono anche le cose che si cercano –, ma qui importa lo spirito, che opera perché le cose che si fanno si scrivano.