LE DONNE E L’ARTE
Sono molto contenta di partecipare a questo dibattito, anche per le novità emerse. Parlare delle artiste in occasione della presentazione di libri belli e seri, come Angelica Kauffmann (1741-1807) di Giuseppe Ardolino, o della preparazione di tesi di laurea, porta sempre a scoprire cose nuove e a far crollare gli stereotipi, come, ad esempio, quello che le artiste del passato siano state “povere donne”. Più studiamo il fenomeno, più ci accorgiamo che le donne hanno avuto una capacità straordinaria di gestire il loro destino. Questo deriva da tanti fattori, legati a un’antropologia storica ben precisa, e che, tuttavia, si ripetono nel tempo, perché le donne “si guardano” tra loro, e le loro differenti vicende presentano sintonie e affinità, che non mi vergogno a definire “di genere”. La grandezza delle artiste è stata proprio quella di portare una differenza di genere nella storia dell’arte. Ciò non significa affiancarsi a velleitari ideologismi femministi, ma studiarle nei contesti storici che le hanno viste nascere. Esse costituiscono un fenomeno sorprendente, perché non si erano mai viste, dai tempi di Plinio in poi, una donna pittrice, prima di Sofonisba Anguissola, e una donna scultrice, prima della bolognese Properzia De’ Rossi. Una donna che si propone in un modo così differente è molto colta e, nonostante le difficoltà, se la cava benissimo, perché ha una coscienza molto forte della sua identità e della sua professionalità.
Anche Angelica Kauffmann ha una grande cultura, e questo, nel libro di Giuseppe Ardolino, emerge molto bene. Non si è artiste se non si è donne di grandissima cultura, acquisita nella biblioteca del padre o del marito, affinando l’immaginazione e la sensibilità sui grandi classici e con gli artisti più affermati del loro tempo. Non potendo frequentare l’Accademia, fanno dell’ambiente familiare o dei monasteri, la loro accademia. Dunque, sfatiamo l’idea che le artiste siano povere derelitte, non capite e non amate. Con un’abilità sorprendente, affermano il loro valore in condizioni difficilissime di mercato e di competizione. Inventano una loro strategia per un autoritratto al femminile, che conquisti il mercato, e per interpretare il sacro trasferendovi la loro esperienza di mogli, di amanti o di madri. Si tratta di una forte affettività mistica, che, pur con differenze, soprattutto di stili, si manifesta lungo vari secoli, e ricongiunge molte artiste dal cinquecento all’ottocento.
Questo riguarda anche le strategie per interpretare un mito. La stessa Angelica Kauffmann non sta all’interno di un mondo neoclassico, ma è romantica. La donna non ha paura di trasferire nell’arte esperienze di vita sentimentale e affettiva. Fino all’ottocento, questo rapporto tra arte ed esistenza è stato la forza e la grandezza delle artiste. Nel novecento, cambia la situazione antropologica, la donna non vive più in un fortino domestico ed entra nella società. Quindi, le caratteristiche straordinariamente affini, pur nella loro diversità, delle artiste precedenti vengono colte con più difficoltà. Ma, scavando in profondità, scopriamo, poi, che un genere femminile è entrato nell’arte. Una specificità si è affermata nella creatività artistica e nel modo d’interpretare il sacro e il profano.
Le donne non potevano rappresentare il nudo femminile, ma sono stati scoperti nudi erotici femminili realizzati da Lavinia Fontana, sebbene venisse considerata donna casta, apprezzata da papa Gregorio XIII. Crollando gli stereotipi, dunque, l’analisi e la documentazione storica vengono sollecitate a far emergere la donna straordinaria che è l’artista. Un’artista che tra la scrittura e la pittura trova la sua identità. Avete mai avuto occasione di leggere la deposizione di Artemisia Gentileschi al processo in cui fu costretta a raccontare, davanti ai giudici pontifici, lo stupro avvenuto nella stanza della casa paterna? Ebbene, c’è già la “Giuditta e Oloferne” nella versione degli Uffizi. L’attrice Lella Costa, ad “Artelibro”, una sera, leggeva questa sua deposizione. Sembrava di avere davanti agli occhi il dipinto di Artemisia.
Queste artiste raccontano la propria vita con una libertà talmente sorprendente che la società per assumerle deve “ingessarle” e farne delle icone. Lo sforzo dei nuovi studi è, dunque, quello di togliere loro l’aura leggendaria e recuperarle nella loro verità di confessarsi donne, in contesti storici e politici differenti, ma che “dialogano” tra loro, e in una solidarietà fortissima che significa essere se stesse nell’arte.
Il libro di Giuseppe Ardolino Angelica Kauffmann (1741-1807) ha il pregio di farci capire questo con molta semplicità. Angelica, negli anni difficili, che vanno dalla terra d’origine all’Italia del primo neoclassicismo di Piranesi e di Winckelmann, e alla grande Inghilterra di Reynolds, è sempre una donna: viaggia, incontra, ama, soffre, ha il coraggio di rompere le rigidezze di un certo neoclassicismo freddo per farlo rivivere in uno antico che, in un certo senso, diventa la carne dei suoi sentimenti e apre al preromanticismo e al romanticismo. Non possiamo ingabbiare queste artiste come fanno i manuali. Artemisia è barocca? È pittrice di realtà? È se stessa. Facciamo fatica a mettere ciascuna di loro nei grandi movimenti artistici dei vari secoli. Anche Giuseppe Ardolino è uno storico dell’arte, tuttavia, ha realizzato documentari e si è interessato al cinema, dunque, ha creato una grande sceneggiatura per una pittrice. Il suo libro non solo si legge facilmente, ma affascina, in quanto evocativo di momenti storici in cui, tuttavia, Angelica è una grande artista perché è una grande donna, e gli uomini, anche i famosi intellettuali che l’hanno incontrata, se ne accorgono. Questo è il merito di un grande scrittore che, per la sua abilità cinematografica, compone un testo adatto a diventare anche la sceneggiatura di un buon film.