LE DONNE E LA POLITICA
Le donne non sono un insieme e, in quanto tali, non esistono. Sarebbero il segno della differenza sessuale, poiché sarebbero tenute, da una parte, a compiere l’economia del sangue, per la riproduzione, come voleva Aristotele, e, dall’altra, a incarnare il negativo come altra faccia del positivo, da sempre attribuito agli uomini nel discorso occidentale.
Contro tale presunta negatività e per la sua gestione, insorge la politica dell’incesto, il discorso occidentale come discorso aristotelico, con le sue rappresentazioni dell’Altro come nemico e del tempo come misurabile e consumabile. Allora la città si spazializza e diviene una giungla popolata da belve sempre pronte a cacciare i più deboli e sempre attente a non essere cacciate dai più forti. E la politica serve alla circolarità, alla gestione dello spazio chiuso, del territorio dai confini ben delineati, escluso l’Altro. Questa politica non poteva e non può che risultare fondamentalista rispetto alle donne – se esse sono segno della differenza –, fino alla loro eliminazione, con il rogo o la lapidazione. Niente di più insopportabile delle donne per la comunità chiusa, se esse vengono rappresentate come segno della castrazione e della mancanza, niente di più pericoloso delle donne, se esse, appunto, non compiono l’economia del sangue. Per questo, la politica nel discorso occidentale ammette soltanto una sessualità segregativa, in cui la differenza è sociale e rappresentata, a tutto svantaggio delle donne, svantaggiate per eccellenza. Per questo le relega ai margini, salvo recuperarle d’obbligo, magari nelle liste elettorali. Sono promosse o bocciate, comunque significate o significanti, proibite o prescritte: la politica diventa così politica dell’incesto, fattoria degli animali e non a caso Artistotele si è tanto dedicato al problema della loro riproduzione.
Ma una breccia si è aperta, nonostante il discorso occidentale, con la scrittura nel monoteismo e con la poesia nel Rinascimento, cioè: nel primo caso, nel libro che più insiste sull’irrappresentabile, la Bibbia, e, nel secondo caso, nello stesso periodo dell’irruzione dello zero, che ha comportato le prime invenzioni. Funzione straordinaria quella dello zero, gioco debordamento quello dell’anonimato. Se non ci fossero, gli umani sarebbero tenuti ad attribuire un nome e un senso a ciascuna cosa, in particolare alla propria esistenza, e le donne ad assumerli. Le cose non significano prima di tutto perché lo zero nella parola comporta lo sbaglio, il lapsus. Da quando esiste lo zero, non occorre più il riconoscimento soggettivo, né la rivendicazione dei ruoli e delle parti, dei posti e dei premi. Il fare non è penalmente perseguibile, né moralmente finalizzabile, prima di tutto perché esiste la funzione di zero, perché il nome, oltre che innominabile – come già avevano annunciato il cattolicesimo e l’ebraismo –, è anonimo, l’autore non è colui che ha compiuto il fatto, e del fatto rimane soltanto il fantasma.
Nel dispositivo del fare, non vige il principio del rispetto, tanto meno per le donne. Facendo, le cose s’intendono e, soltanto così, giungono alla differenza sessuale, differenza irriducibile e irrappresentabile. Per questo, le donne come segno della differenza sessuale comporterebbero la soppressione dell’Altro, quindi la segregazione e il razzismo. Il rispetto per le donne, che l’islamismo condivide con il pensiero greco, procede dalla fantasia dello stupro, quindi, dall’idea che il tempo possa finire. Un conto è la scadenza e un conto è la fine. Nel dispositivo in cui le cose si fanno secondo l’occorrenza, le donne danno un apporto anche alla finanza, in particolare per quanto attiene al mito della madre. Ciascuna cosa è sacra e non sta a noi corromperla o degradarla. L’urgenza con cui le cose si fanno procede dall’istanza di conclusione, istanza di scrittura pragmatica, di scrittura finanziaria, e non dall’idea della fine, del male, del peccato e dell’incesto, che solleva contro le donne quella politica anti intellettuale che potremmo definire vittima del suo stesso terrore: mamma la paura regna sovrana e impone il serraglio, l’economia del sangue da una parte – le donne che devono assicurare la genealogia, l’immortalità – e l’economia della pulsione dall’altra – le donne che devono servire ai piaceri quotidiani. Oltre la politica della segregazione, la città del secondo rinascimento avanza una politica del tempo, del fare, della differenza e dell’Altro irrappresentabile, senza più il male, il peccato e l’incesto. Oggi, come duemila anni fa, le donne contribuiscono alla politica del tempo facendo, perché facendo nessuno toglie nulla all’Altro.