I RISULTATI DEL MODELLO COOPERATIVO NELLA CRISI
All’assemblea provinciale di Federlavoro/Confcooperative (di cui lei è presidente per l’Emilia Romagna), tenutasi lo scorso aprile, lei diceva che, nei periodi di crisi, il modello cooperativo dà garanzie. Quali sono le caratteristiche di tale modello e le leve che ha messo in gioco in questo momento?
La coesione sociale, di cui tanto si parla nella nostra regione, è frutto principalmente del sistema cooperativo, che rappresenta il 22 per cento del PIL: in Emilia Romagna, per esempio, le 462 imprese aderenti alla nostra Federazione hanno 65000 addetti, tra soci, dipendenti e collaboratori, e un fatturato di oltre due miliardi di euro. Coesione sociale vuol dire anche maturità delle persone, che hanno imparato a convivere fra loro, sanno gestire il proprio spazio e rispettare quello degli altri. La cooperazione è un modo di lavorare e di fare impresa che, oltre a produrre effetti economici, fa cultura, quindi fa crescere le persone proprio in virtù del confronto costante fra i soci e coloro che operano all’interno di una vera cooperativa, ossia quella in cui il socio partecipa al capitale sociale, al rischio, alle decisioni strategiche e a tanti altri aspetti dell’impresa.
In una società sempre più vocata all’autonomia e all’autoreferenzialità, noi abbiamo fatto scelte diverse, che hanno portato esiti straordinari. Nel 2009, abbiamo deciso di fare meno utili, pur di evitare licenziamenti e cassa integrazione, se non in pochi casi, e gestire la crisi attraverso contratti di solidarietà. Non è un caso se in Emilia Romagna stiamo un po’ meglio tutti. È chiaro che bisogna continuare a creare valore per l’impresa come accadeva fino a tre anni fa, ma non possiamo fare a meno di riflettere sul modo in cui le imprese, di qualsiasi natura esse siano, ottengono i loro risultati. In questa fase di crisi e forte competitività, è più conveniente dare contenuti qualitativi al nostro lavoro o cercare di recuperare i margini di utile persi chiedendo altissime prestazioni e sacrifici alle persone addirittura riformulando i loro contratti di lavoro verso il basso? Anche in questo caso, il modello cooperativo ha una propria posizione: dimostra che una società non può svilupparsi senza il rispetto della dignità umana e che fare buona economia non può voler dire ridurre alla disperazione i propri collaboratori. Anzi, se riusciremo a recuperare la redditività perduta a causa della crisi, sarà proprio grazie alla loro fantasia, alla loro e alla nostra capacità di dirigenti di trovare soluzioni nuove ai nuovi problemi che si presentano con sempre maggior frequenza, non certo riducendo i loro stipendi e umiliando le loro aspettative.
Le grandi e medie aziende fanno spesso della responsabilità sociale d’impresa una bandiera, ma se i loro modelli economici impongono scelte che vanno a scapito dell’avvenire dei loro collaboratori, anziché in direzione della loro valorizzazione, non meravigliamoci se poi assistiamo alla graduale scomparsa del ceto medio dalla nostra società, sempre più divisa fra chi detiene la maggior parte della ricchezza e chi vive alla soglia della povertà.
Anche per questo è importante sostenere le piccole e medie aziende, soprattutto del terziario, che rappresenta il 71 per cento dell’economia italiana…
È vero, però occorre un salto culturale forte, le società di servizi medio piccole devono costituire reti che consentano loro di coprire il territorio, condividendo innovazioni, esperienze e progetti, per stare al passo con i tempi e dare risposte rapide ed efficienti alla propria clientela. L’innovazione deve divenire un obiettivo costante anche per le piccole e medie imprese, altrimenti vengono espulse da un mercato che si modifica in continuazione.
A proposito di reti fra medie aziende, abbiamo esempi come Saca e Nuova Mobilità, di cui lei stesso è presidente, formato da quattro gruppi di cui tre in Emilia Romagna e uno in Toscana (Cosepuri, Modena Bus, Saca, Cap di Prato e Coerbus), che insieme rappresentano la quinta azienda del settore a livello nazionale e ci fanno intravedere il futuro del trasporto in una diminuzione delle auto private in circolazione…
Nuova Mobilità s’inserisce in un segmento prettamente gestito dal pubblico, che oggi ha costi enormi. Se una parte delle risorse risparmiate fossero impiegate in una maniera più efficiente e efficace per il territorio, avremmo risultati estremamente interessanti sotto il profilo economico, che potremmo tradurre in servizi aggiuntivi per ridurre il numero di auto private sulla strada e dare risposte a fasce sociali, come quella degli anziani – sempre più in aumento –, che in questo momento non sono prese troppo in considerazione dagli amministratori pubblici.
A che punto si trova questo processo di privatizzazione?
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il regolamento attuativo previsto dalla riforma dei servizi pubblici locali e le gare dovranno essere indette entro il 2010. Quindi, entro il 2011, le amministrazioni pubbliche dovranno esternalizzare i servizi, tranne nei casi in cui non sussistano ragioni particolari. Nuova Mobilità s’inserisce in questo processo con due obiettivi: quello di partecipare alle gare, perché le nostre strutture cooperative sono molto flessibili – quindi in grado di dare risposte immediate alle nuove richieste di mobilità dell’utenza – e quello di acquisire una parte del patrimonio e del servizio di trasporto pubblico locale su gomma, per dare dignità in termini non solo economici, ma anche di elevazione della qualità del servizio nell’ottica di abbattere gli sprechi che ora sono veramente tanti. A questo proposito, per esempio, ricordo che oggi le aziende pubbliche hanno parchi costituiti da autobus talmente vetusti da concorrere in modo pesante ad inquinare l’ambiente. Noi sosteniamo che, attraverso gli ammortamenti di legge, i nostri mezzi devono essere sostituiti al massimo ogni sette anni. Questo è uno degli obiettivi di cui la politica deve tenere conto, perché l’aria è di tutti. Ormai, prendere in considerazione le alternative al sistema attuale di operare e di gestire la mobilità pubblica è diventato un compito civile, oltre che etico.