NON È VERO E NON CI CREDO
Voltaire diceva che la storia è il racconto di fatti ritenuti veri, mentre le fiabe sono il racconto di fatti ritenuti falsi. Non è sempre così, la storia è scritta almeno due volte, la prima dai vincitori, la seconda da chi vuole fare luce su vicende più o meno oscure, ma soprattutto deformate dalla propaganda. Purtroppo, ancora oggi non manca chi usa la storia come ancella della propaganda a tempo pieno.
Per esemplificare farò riferimento a un recentissimo e poco noto “caso” bolognese. Si tratta di una lapide che ciascuno può leggere alla “Bolognina”, il cui testo è il seguente: “Il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, nel 45° anniversario della battaglia qui avvenuta, Achille Occhetto annunciò il cambiamento politico che prese il nome di Svolta della Bolognina. La Germania, sconfitta dagli Alleati contro il nazismo, smembrata dalla guerra fredda, si riunificava senza ostacoli e in pace, anche grazie al rifiuto del presidente sovietico Michail Gorbaciov di usare la forza contro la volontà popolare. Gli 11 partigiani della Bolognina, caduti in battaglia o fucilati dai nazifascisti nel 1944, non morirono invano. Il loro sacrificio ci ha lasciato un mondo migliore. Nel loro ricordo salutiamo la liberazione dal nazifascismo, la democrazia e la costituzione della Repubblica Italiana, sicuro baluardo di pace e di progresso in Europa e nel mondo”.
Molti potrebbero pensare che si tratti di una delle solite lapidi affisse anni fa, all’epoca, appunto, della Svolta della Bolognina e dettate dalla cultura comunista più ortodossa e gramsciana. Invece risale a pochi mesi fa, al 15 novembre 2009, quando era sindaco di Bologna Flavio Delbono che mai è stato iscritto al PCI, al PDS o DS. Chi firma questa lapide? L’ANPI di Bologna, il Comitato antifascista, il Quartiere Navile e il Comune di Bologna.
Le lapidi sono importanti per ricordare chi ha vissuto, chi è morto, chi ha abitato o ha lasciato un segno in un luogo della città. Questa lapide, invece, è anomala, è un mini documento politico: apparentemente confusa e assurda, segue una logica politica ben precisa. O meglio, lancia il solito messaggio: il filo che lega resistenza, liberazione, repubblica, costituzione, democrazia, libertà e pace altro non è se non il PCI, le sue “svolte” e, addirittura, l’URSS di Gorbaciov che, bontà sua, non ha ritenuto di dover usare “la forza contro la volontà popolare”, secondo le parole scolpite nella lapide.
D’altronde, l’uso politico e propagandistico della storia è una prassi non nuova: il passato è spesso territorio di escursioni strumentali da parte di coloro che sono animati da una volontà pregiudiziale e ideologica e non dalla serena passione per la ricerca.
Il libro di Paolo Pillitteri Non è vero ma ci credo (Spirali) ci racconta di una schiera di registi, attori, storici e giornalisti, che ha svolto una funzione di copertura e avallo politico più che di carattere culturale: quelli che erano giustamente definiti “intellettuali organici”. Esistono ancora, eccome, e ad essi si sono aggiunti i giornalisti televisivi. Gli “intellettuali” degli anni passati li paragono a Daniele da Volterra, noto come il Braghettone, perché aveva messo le braghe al Giudizio universale per coprire i nudi. Costoro hanno sempre voluto coprire le verità più scomode, addirittura falsificando documenti e fotografie; come è il caso del massacro di Katyn, in Polonia. Ebbene, Pillitteri ne parla nel suo libro e proprio oggi, 29 aprile 2010, “ Il Corriere della Sera” pubblica i documenti che attestano che Beria raccomandò di “applicare la massima pena, la fucilazione, per 14.700 ex-ufficiali polacchi, funzionari, latifondisti, poliziotti, spie e gendarmi, e 11.000 membri di diverse organizzazioni di spionaggio, latifondisti e dirigenti”. Le firme? A partire dal grande padre, Stalin, passando per Molotov, Mikoyan, Beria e altri. Insomma, solo dopo sessantacinque anni conosciamo la verità storica che smentisce il contenuto di quella lapide collocata dai sovietici che recitava: “Qui giacciono i corpi martoriati, fucilati vigliaccamente dai soldati nazisti”. Se un giornalista come Giampaolo Pansa avesse deciso di scrivere un libro a partire da quei documenti, tutti sarebbero stati pronti a dargli dello “sporco revisionista”. Ma, siccome sono “Il Corriere della Sera” e il sito del governo russo a riportare le fonti tra virgolette, l’opera di revisionismo l’ha fatta la storia con la S maiuscola, che si è personificata improvvisamente in un ravvedimento del governo di Medvedev. Curiosa è la coincidenza che questa rivelazione abbia a che fare con la caduta dell’aereo su cui viaggiava il presidente della Polonia. Speriamo che altri documenti si possano conoscere senza che cadano altri aerei.
La mia preoccupazione è rivolta alle nuove generazioni, che dovrebbero apprendere da un corpo docente non sempre all’altezza della sua delicata funzione, e in alcuni casi apertamente orientato, con la complicità di libri di testo faziosi, a una formazione di parte dal punto di vista politico. A ciò si aggiunga il fatto che i giovani non sono sollecitati alla conoscenza, ma piuttosto sono vittime dell’informazione, che sicuramente è importante ma non sufficiente, perché attraverso l’informazione non si può costruire la capacità critica, che è la vera cultura da trasmettere loro. Libri come quello di Paolo Pillitteri sono una boccata d’ossigeno perché ci consentono di fermarci a riflettere. Io vi consiglio di leggerlo con attenzione, di sorridere per alcune cose e di amareggiarvi per altre, magari perché in alcune delle situazioni descritte nel libro anche noi eravamo caduti nella trappola che ci era stata tesa: ci avevamo creduto. E non era vero.