UN TEMPO DIVERSO DAL RITMO DEL PENSIERO

Qualifiche dell'autore: 
poeta, scrittore, drammaturgo

Già nella “Città del secondo rinascimento” (nel numero 15) avevo cercato di delimitare quello che si potrebbe chiamare il metodo Shen Dali. Risalivo a una dichiarazione di Aragon del 1945: “Ogni mezzo di espressione ha i propri limiti, le proprie virtù e i propri difetti. Niente è più arbitrario che tentare di sostituire la parola scritta al disegno e alla pittura. Questo si chiama critica d’arte e non mi pare di rendermene colpevole in questo momento”. È una dichiarazione estrema, netta, come di solito fanno i francesi. Ma il pensiero è molto chiaro: non si può sostituire il disegno con la parola scritta. Credo che Shen Dali abbia colto al volo questa occasione fornita da Aragon. Così la sua traiettoria diventa quella di tenersi decisamente distante dalla storia dell’arte tout court, dalla critica analitica, dalla storicizzazione del testo. E, sforzandosi di conservare una sapiente oscillazione secondo una prospettiva di dialogo e di linguaggio, apre un racconto che mantiene una propria autonomia e una propria originalità.

Un altro testo che citavo, sempre in quell’occasione, è il Pittore nella vita moderna di Charles Baudelaire, il quale dice: “Ricordate un quadro, è veramente un quadro uscito dalla penna più vigorosa del nostro tempo, intitolato L’uomo della folla”. L’uomo della folla è un racconto di Edgar Allan Poe. Dietro i vetri di un caffè, reduce da una malattia, un uomo vede passare la folla e ha dei pensieri. E allora Baudelaire dice che questa convalescenza è molto importante perché è un ritorno all’infanzia, dove si manifesta una sorta di genialità che dopo forse sarà dimenticata. Proprio questa specie di vaghezza rende l’opera così interessante.

Infine, citavo un brano di una conferenza tenuta da Heidegger in Giappone, Colloquio nell’ascolto del linguaggio: “Noi il linguaggio lo dobbiamo ascoltare. Soltanto quando ascoltiamo e soltanto ascoltando, possiamo percepire le onde del linguaggio”. Soltanto l’ascolto determina, per dir così, la comprensione del linguaggio. Heidegger negava il dialogo e la sua stessa conferenza, in quanto quel parlare non era parlare. Mentre in realtà il vero parlare era nell’ascolto. Penso che questa sia una carta a favore del metodo Shen Dali, in cui non esiste nessuna analisi logica, testuale, strutturale, ma semplicemente l’avvicinamento e, dunque, l’ascolto dell’opera.

La maestria culturale di Shen Dali si nota a partire dalle citazioni di tanti poeti che in genere non conosciamo perfettamente e che solo uno specialista come lui conosce davvero. Non si tratta, in definitiva, di pura sensibilità, o soltanto larghezza di emozioni, ma di un ordine, libero da ingranaggi, preciso e scorrevole. Emergono così, quasi immediatamente, balzando alla memoria nel confronto con le opere d’arte, i testi di poesia che egli intende descrivere. Questa descrizione avviene per un incontro/contrasto, fra tavole figurative e poesia.

A pagina 96 del libro Roberto Panichi (Spirali/Vel), una nota di Shen Dali potrebbe essere ricca di spunti successivi: “È risaputo che la paratassi è l’essenziale caratteristica della lingua cinese, che differisce dalle lingue latine, con cui il lettore esplicita mentalmente il rapporto fra gli elementi di una frase che si combinano senza ricorrere a una parola di collegamento”. Che non ci sia una parola di collegamento nella lingua latina, mentre ce n’è nella lingua cinese, mi ha portato a pensare che esiste una differenza che si può cogliere nel momento stesso in cui la lingua si esplicita. Ci sono ipotesi molto interessanti per quel che riguarda sia il linguista sia l’antropologo. Si è studiato lo scritto di un europeo e quello di un orientale: le strutture mentali erano abbastanza simili. Questo perché gli antropologi tengono a stabilire un’identità, un minimo comune denominatore, in breve, mirano alla dimostrazione di una prossimità, di una vicinanza. Questo è anche bello e interessante. Più problematico è quando dicono che fra noi e l’età della pietra c’è poca differenza. È come se fossero trascorsi pochi giorni, noi siamo dei selvaggi e gli istinti possono affiorare. Purtroppo, la cronaca dà loro ragione, però questi ragionamenti non sempre sono dimostrabili, inoltre, i tratti consequenziali finiscono per stringere un panorama in maglie troppo ferree.

Questo micro excursus nell’antropologia prende spunto proprio dalla paratassi, cioè da questa forma di non collegamento nelle lingue latine e di collegamento, invece, nella lingua cinese. Parà, “vicino”, taxis, “disposizione”: paratassi significa “periodo fondato sulla costruzione”. Diciamo che questa verbalizzazione delle frasi mostra un tempo diverso del ritmo del pensiero e ugualmente uno scorrere “collegato” degli eventi. Forse è esagerato parlare di un “surrealismo” non europeo, ma l’ipotesi è abbastanza capace d’indurre in tentazione.

Nel libro Roberto Panichi, Shen Dali cita inoltre Segalen, un autore di grande fascino che ha scritto L’esotismo e guarda le situazioni nuove, esotiche, con gli occhi di un occidentale. Esotismo potrebbe anche essere sinonimo di spaesamento: quando si vede in un modo nuovo una cosa che si vede quasi sempre. Un fenomeno di esotismo o di spaesamento è proprio questo rapporto fra poesia e pittura che Shen Dali instaura, mantenendo una propria rotta e un significato libero e ricco di analogie e accostamenti.