IL TEMPO PAGA
Il Centro per la conservazione delle opere d’arte Ferrari Restauri è divenuto un riferimento importante in Italia, non solo per i privati ma anche e soprattutto per le soprintendenze, che richiedono consulenze tecniche in diversi campi del restauro. Può fare qualche esempio?
Ci occupiamo di restauro di affreschi, di materiale lapideo, di dipinti e opere pittoriche e di mobili; inoltre, ci siamo fortemente specializzati nel restauro dell’arte contemporanea, anche grazie al lavoro svolto per circa sei anni come consulenti esterni del Mart (Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto), che ci ha permesso di confrontarci con i musei stranieri.
Per le soprintendenze e i comuni, siamo un riferimento anche nella diagnostica, soprattutto in ambito monumentale, nella preparazione di studi preliminari al progetto di restauro, attraverso l’indagine di tutti gli apparati di rivestimento, l’“epidermide” della struttura. È molto apprezzata la nostra capacità interpretativa: a volte, in seguito a indagini preliminari assolutamente insoddisfacenti eseguite da altri, noi riusciamo a fare scoperte considerevoli, anche grazie all’individuazione dei tipi d’intonaco utilizzati sulle superfici dei monumenti analizzati. Tant’è che stiamo pensando di “protocollare” il nostro metodo di lavoro.
Soprattutto nei restauri filologici, senza l’analisi dei materiali, non si può intendere la lingua dell’opera da restaurare, che è scritta con i materiali, come sottolinea il segretario generale del Ministero dei Beni culturali, Roberto Cecchi, nei suoi libri I beni culturali. Testimonianza materiale di civiltà e Il restauro (Spirali).
Sicuramente. Anche per questo, quando entriamo nel luogo in cui dobbiamo eseguire un’indagine, non chiediamo nulla della sua storia e, solo in un secondo tempo, ci documentiamo approfonditamente. È sempre una sfida, perché si rischia d’imbattersi in enormi errori, ma per noi il percorso storico, la ricerca negli archivi è solo la prova del nove e serve a verificare se tutto ciò che abbiamo individuato è correlabile secondo una cronistoria.
Di questa attenzione alla materia si avvale anche la vostra attività collaterale, la vendita di materiali per la conservazione delle fotografie e di manufatti cartacei?
Quando, nel 2002, abbiamo rilevato questa attività commerciale, la prima preoccupazione è stata quella di capire il mercato e imparare a conoscere i materiali. Successivamente, abbiamo iniziato lo sviluppo della ricerca aprendoci verso l’estero, anche perché in Italia nessuno produce questi materiali. Siamo alla continua ricerca di nuovi materiali testati e da testare, anche grazie alla collaborazione dell’Istituto centrale di patologia del libro, che ci consente di tenerci aggiornati. Di recente, abbiamo iniziato a valutare l’opportunità di esportare i nostri materiali in altri paesi e per questo in dicembre sono stata a Tel Aviv.
A proposito di aggiornamento, il vostro Centro è stato pioniere nel proporre corsi di aggiornamento per restauratori…
Quando iniziammo a organizzarli nel 2001, suscitammo molto scetticismo, perché nessuno credeva che i restauratori, così gelosi dei propri segreti, sarebbero intervenuti ai nostri corsi. Ma per noi era importante dare spazio alla qualità, all’arte di lavorare bene, e così riuscimmo a formare un gruppo di persone che avevano capito il nostro approccio. Inoltre, la nostra esperienza è servita a dare l’input ad altri e adesso sono già tre gli enti che organizzano attività formative alle quali, tra l’altro, a volte partecipano i nostri stessi collaboratori. Oggi stiamo valutando l’ipotesi di tornare alla nostra vocazione, attraverso la fondazione di una piccola associazione onlus, con l’intento di esportare i nostri progetti formativi in tutta la regione Lombardia.
Proprio come un maestro di bottega del rinascimento, lei non ha mai limitato l’attività a un solo aspetto…
Nel mio lavoro, mi sono sempre armata di umiltà e ho accettato qualsiasi commessa, dal restauro dei mosaici della Villa Romana del Casale in Piazza Armerina, in Sicilia, a quello di un pavimento. Finché, a un certo punto, mi sono chiesta a cosa fosse servito aver avuto la possibilità di lavorare su opere di Leonardo, su affreschi romanici e intonaci antichissimi, se poi dovevo spesso occuparmi di opere di scarso valore. Ho impiegato anni a metabolizzare questo percorso e alla fine sono arrivata a una conclusione quando, nel 2003, mi chiamarono agli inizi dei lavori di restauro del grattacielo Pirelli: nei dieci anni di lavoro precedenti, era come se ciascuna volta avessi messo in una scatola tutto ciò che imparavo in un nuovo lavoro, in tutti quegli anni, non avevo fatto altro che aprire e chiudere tante scatole diverse. Però sono arrivata al grattacielo Pirelli con una preparazione che, guarda caso, proveniva da alcuni lavori eseguiti in passato sulle ceramiche e che avevo ritenuto stupidi. Tutta la mia esperienza e la mia abilità, abbinata alla mia conoscenza della chimica, mi hanno permesso d’impostare una metodologia di lavoro che non era mai stata sperimentata prima. Da allora, sia la soprintendenza sia il Politecnico di Milano mi hanno chiamata per eseguire altre mappature su edifici moderni. Il tempo paga: anche se sul momento non si ha un riscontro immediato, dopo tanti anni di sacrifici e d’impegno, il riconoscimento della qualità del lavoro è ciò che dà la più grande soddisfazione.