LA MATERIA, DIO, L'ARTE
Esiste un discorso sull’arte, nell’ambito di quello che chiamiamo discorso occidentale e che ne raccatta i luoghi comuni. Fra essi, luogo comune per antonomasia: il soggetto. Negli scritti di estetica, Hegel ci parla, appunto, del soggetto: il soggetto dell’arte, il soggetto artista che, in un viaggio spirituale, dapprima interiore e poi esteriore, arriva all’emergenza della propria piena soggettività che ha nell’arte il suo migliore mezzo di espressione. Si tratta di un’idea libertina e romantica, facile e, quindi, accettata in ogni epoca.
Nel libro La materia, Dio, l’arte (Spirali), si avanza un’ipotesi che porta un’obiezione all’ideologia del soggetto, ideologia che ha comportato e comporta effetti devastanti nei vari settori non solo dell’arte, ma in generale, del vivere civile.
L’ideologia hegeliana ha responsabilità precise rispetto alla “concezione dell’arte”, tuttora in auge, come espressione della libertà del soggetto. Tale libertà arriverebbe fino all’autodeterminazione, cioè alla padronanza totale sull’arte e sulla vita, in cui l’artista demiurgo diventerebbe il creatore assoluto.
Nel libro che qui presentiamo confuto tale “concezione” dell’artista. Possiamo considerare Andy Warhol il risultato di una simile ideologia che coniuga il realismo americano e quello sovietico, ideologia che ancora conosce momenti di vera e propria apoteosi. Warhol disse testualmente che l’arte è di tutti e per tutti (liberazione dell’arte) e dev’essere vissuta da ognuno, che sia analfabeta o esperto d’arte o presidente di banca, in un identico modo (e conseguente livellazione). L’arte di ognuno: ecco la zuppa Campbell. Andy Warhol il pubblicitario scambia la galleria con lo scaffale del supermercato in questa reazione al rinascimento che parte dagli scritti di Hegel e arriva appunto fino alla pop art, fino a quella che ho chiamato ideologia americana applicata all’arte. La questione prioritaria oggi è il ripristino della scuola come bottega dell’artista. Bottega d’arte come bottega di vita.
Spesso insegnanti e docenti affermano che i giovani non hanno più interesse allo studio o che studiano malvolentieri e con scarso profitto. La bottega d’arte rinascimentale ci suggerisce dispositivi di studio e di formazione, dispositivi artistici e di direzione, in cui si pone per ciascuno la condizione del viaggio culturale e artistico. L’arte è tecnica e gioco, non esclude però invenzione e formazione. Solo così la “manualità” è intellettuale.
Altra questione rilevante è quella del “concetto” nell’arte. Giovanni Papini, che purtroppo resta non letto nella cultura italiana, ha dato un’eccellente definizione del concetto: “Quel mignon che vale per tutti i filosofi”. Il concetto in arte ha prodotto quel fenomeno chiamato arte concettuale che dura ormai da 50 se non da 100 anni e che ha più volte cambiato nome. È conosciuto infatti come minimalismo, postmodernismo, pop art e in generale come happening.
Il concetto è andato di pari passo con l’abolizione della materia nell’opera d’arte. Prima è stata abolita la pittura, poi i pigmenti, quindi la tela, fino alla cornice vuota di Duchamp. Poi, non c’è stato neanche più bisogno della cornice né del quadro e si è arrivati alla performance, da cui il filone delle arti performative. Negli ultimi anni abbiamo una tipologia particolare di pop art che comprende quasi esclusivamente happening e performance. Ma, terminata la rappresentazione, l’opera d’arte non esiste più, se non nelle fotografie o nei video girati durante la performance stessa.
Mi sembra questa una demonizzazione della materia e che sia questo il risultato disastroso del concetto in arte. Con la materia, viene tolta la tecnica (tèchne, in greco, è arte). Cosa resta oggi dell’arte? Il tecnicismo – appunto derivato dall’abolizione della tecnica – con il suo apparato ipertecnico, che la fa da padrone non solo nell’ambito dell’arte, ma anche in quello scientifico.