LA DEFINIZIONE DEL BIOLOGICO

Qualifiche dell'autore: 
amministratore unico del Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici S.r.l.

Quali sono le novità legislative intervenute di recente nel settore alimentare delle produzioni biologiche?

Dal 1° gennaio 2009 sono entrati in vigore i regolamenti CE 834/2007 e CE 889/2008. Quest’ultimo prevede un’estensione del biologico all’acquacoltura, cioè all’allevamento di pesce e alla coltivazione di alghe marine, mentre le regole per la loro produzione e certificazione sono contenute nel regolamento CE 710/2009, in applicazione dal 1° maggio 2010. È una novità per l’Unione europea, mentre, per l’Italia, è stato finalmente approvato un decreto ministeriale che disciplina, a livello nazionale, alcuni aspetti dei regolamenti comunitari riguardanti la produzione e gli organismi di controllo.

Il biologico è un settore in espansione, ma la crisi ha avuto un effetto di frenata sulla sua crescita nel corso di quest’anno?

Ha portato un aumento dei consumi, sia negli Stati Uniti sia in Europa. In Italia, rispetto al primo semestre del 2008, il primo semestre del 2009 ha registrato un incremento dell’8,5 per cento in volume e del 7,4 per cento in valore, vale a dire un aumento dei volumi di vendita a fronte di una diminuzione dei prezzi derivante dalla riduzione degli sprechi, nelle condizioni di produzione, e dei margini di guadagno lungo la filiera. Questi dati indicano, forse, che c’è più attenzione ai prodotti di qualità.

Peraltro, se badiamo alla marca, spesso il biologico costa meno del prodotto convenzionale. Solo nel confronto col “primo prezzo” è più caro, ma è un confronto che non regge, perché non è paritario e rischia di dare un’immagine distorta.

C’è chi si stupisce perché anche nel biologico si utilizzano gli additivi. Può dire qualcosa di più a questo proposito?

Gli additivi rendono conservabile il prodotto. Nel biologico, la maggior parte degli additivi ammessi deriva da materie prime agricole di origine biologica. In Europa, negli Stati Uniti e in Giappone la legislazione prevede, per i produttori-trasformatori del biologico, una lista di additivi, derivati da sintesi chimica, molto più ristretta di quella normalmente ammessa per qualsiasi altra produzione.

Attualmente, non c’è una soluzione tecnologica alternativa agli additivi. Per addensare la marmellata bisogna usare la pectina o sostanze più pericolose della pectina. Il prodotto industriale deve potere conservarsi per mesi e, a volte, per un anno. Ma non è solo questione di conservazione, talvolta è necessario mantenere un colore accettabile per il consumatore. Allora, si aggiunge acido ascorbico, che non è nocivo, è vitamina C di origine sintetica, la cui molecola è uguale a quella naturale. Si potrebbe usare il succo di limone, che ha una percentuale di acido citrico e una di acido ascorbico, ma è valido solo per una produzione con scadenza inferiore a un anno.

Quindi, non ci sono alternative tecnologiche. Tuttavia, le sostanze che si utilizzano non sono dannose per l’ambiente e per la salute. Con l’ultimo regolamento europeo, ad esempio, a partire dal 2010, la pectina dovrà essere estratta da frutta biologica. Quando la tecnologia è disponibile in quantità sufficiente, il legislatore opta per additivi di origine naturale che derivano da agricoltura biologica.

Per soddisfare le esigenze di milioni di consumatori la scadenza settimanale è impensabile. Inseguendo la purezza totale, avremmo prodotti che costerebbero molto di più con caratteristiche tecnologiche talmente basse da interessare una piccolissima fascia di consumatori, i cosiddetti consumatori “ideologici”. Così, si renderebbe un ottimo servizio ai detrattori del biologico, invece di contribuire, con la sua estensione, a migliorare la qualità della vita e dell’ambiente. Sarebbe un ritorno agli anni settanta e ai primi anni ottanta, quindi, la negazione di ciò che abbiamo portato avanti, negli ultimi vent’anni, a livello comunitario e mondiale.

Nella trasformazione si usano percentuali diverse di materia prima tratta da agricoltura biologica? Questo si può rilevare nell’etichetta?

Il nuovo regolamento prevede tre categorie di prodotti.

La prima ha almeno il 95 per cento di ingredienti di origine agricola biologica. Per il restante 5 per cento, se è necessario inserirli, ci sono ingredienti specifici che nell’intero pianeta non sono prodotti biologicamente e per i quali l’Unione europea ha concesso una deroga. Però, sono talmente pochi che, nel ‘99 per cento dei casi, i prodotti di questa categoria sono interamente biologici e questo viene indicato accanto alla denominazione di vendita. Gli additivi restano fuori dal calcolo, ma sono indicati in etichetta.

La seconda categoria comprende una percentuale di biologico che va da 0 a 95. Inquesto caso, si specificano solo, nella lista apposita, gli ingredienti di origine biologica e la loro percentuale.

La terza categoria comprende i prodotti della caccia e della pesca (da non confondere con l’acquacoltura). Questi prodotti non sono certificabili, per cui in etichetta si indica, per esempio, “tonno all’olio d’oliva biologico”, dove biologico è l’olio, non il tonno. È una nuova categoria, in cui l’ingrediente biologico non è quello principale, ma tutti gli altri, che sono di origine agricola.

I prodotti della caccia e della pesca sono considerati non biologici perché non possono essere certificati?

I prodotti vegetali naturali sono certificabili perché nascono da un terreno che non ha subito trattamenti negli ultimi tre anni. Per esempio, se un bosco rientra in questa condizione, i funghi, i tartufi e le fragoline sono certificabili come biologici, perché è facilmente individuabile e controllabile il terreno in cui nascono e crescono. Ma per un tonno, una lepre o un cinghiale questo controllo non si può fare, a meno di non mettere loro addosso un microchip.