IL GUSTO DELLA SALUTE

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Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

“Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina il tuo cibo” (Ippocrate). La considerazione che il cibo è decisivo per la salute, indicata dalla medicina ionica di Alcmeone e ancor prima dall’ayurveda indiana, era stata colta anche da Ippocrate. Ma il medico greco l’ha moralizzata con l’invito a nutrirsi di medicina (“che la medicina sia il tuo cibo”), dunque a sottoporsi alla medicina come necessità di vita. Da allora, se la medicina è il cibo, essa diviene il modello del cibo, si pone come il cibo perfetto, il cibo sano, cui ogni nutrimento, magari buono ma non sempre salutare, deve conformarsi. A partire da quest’obbligo della medicina e dal suo primato sul cibo sorge l’alternativa tra la salute, che deve dipendere dalla medicina, e il gusto, considerato come sapore, di cui diffidare, perché potrebbe non rispondere ai canoni della salute.

Questi canoni sono stabiliti dalla medicina, pretesa scienza obiettiva, mentre il gusto diviene peculiarità della soggettività, come nel detto medioevale “de gustibus non est disputandum”, in cui il gusto diventa il sapore, il piacere soggettivo, il segno del soggetto. In questa ideologia lo stesso soggetto, in quanto soggetto al bene, nel cibo, come nella vita, non deve considerare il gusto, ma il bene: “Il gusto – scrive Joseph de Maistre – è soltanto la coscienza del bello, come la coscienza è il gusto del bene”. Così il gusto diventa questione di estetica, mentre occorre la coscienza come gusto del bene: già sul finire del Settecento, su questa coscienza farmacologica, su questo bene dovrà definirsi la salute. Gusto del bene come volontà di bene, come aspirazione al benessere. L’ideologia della salute come benessere cerca il gusto del bene, stacca il gusto dal piacere e il piacere dalla salute.

Eppure, mai come oggi, sembra che la salute non possa fare a meno del piacere: piacere della buona tavola, piacere delle tradizioni, piacere del cibo genuino. Ma in questi termini, il piacere è edonismo, gratificazione, principio del piacere che diviene piacere come principio, piacere facile, piacere a portata di mano. La salute che dipenda da questo piacere è salute come benessere, come stare bene, da contrapporre alla malattia intesa come malessere. Medicina ontologica, medicina dell’essere. Medicina del bene e del male, medicina che dipende dal cibo che fa bene e male. Medicina farmacologica, in cui pharmakon è la sostanza che può essere sia veleno sia rimedio.

Se il cibo diventa pharmakon, se può fare bene o male, il nutrimento viene sottoposto a un criterio morale: quel che fa bene è buono, quel che fa male è cattivo. Con un’implicazione: per essere buona (in senso morale), qualcosa deve far bene. Ma allora che ne è del gusto? Deve vincolarsi all’idea di bene per non essere alternativo alla salute intesa come benessere?

Il dibattito sul libro a cura di Giuseppe Nisticò, Cioccolato e piacere (Spirali), che apre questo numero del nostro giornale, è essenziale per una definizione della salute rispetto al cibo. Se la salute è stare bene, ogni cibo deve entrare nell’ideologia salutista, cioè essere considerato buono se fa bene e cattivo se fa male. Anche il gusto dovrebbe allinearsi a questo parametro: per dare un apporto alla salute, il gusto deve subordinarsi all’idea di bene, altra faccia della credenza che i cibi salutari non siano gustosi, ovvero non abbiano un buon sapore. Per la salute come benessere il gusto diventa pericolo: per questo i cibi più prelibati, come il cioccolato, devono dimostrare di fare bene, devono giustificarsi sui canoni della correttezza nutrizionale.

Questo numero della rivista sottolinea che il dispositivo nutrizionale non è la correttezza alimentare, non riporta il nutrimento ai canoni del cibo corretto, cioè che segue la via corretta della salute intesa sia come stare bene sia come cibarsi di quel che fa bene, a prescindere dal gusto. Come il piacere, il gusto è essenziale alla salute perché non è più canonico, non è il gusto del bene e del male o il gusto dell’essere, ma è il gusto della differenza, il gusto della varietà, il gusto del fare. E la salute esige il dispositivo nutrizionale come dispositivo del fare, lungo la differenza e la varietà: è salute pragmatica, salute come istanza di qualità delle cose che si fanno, si concludono e riuscendo si scrivono. Niente salute senza il gusto del fare, della battaglia, della riuscita. Questa è la via tracciata in questo numero dalla testimonianza degli imprenditori, degli intellettuali, dei dissidenti, più che dall’insegnamento dei nutrizionisti.