LA NOSTRA BATTAGLIA IN SOLITUDINE
La battaglia per TEC Eurolab è sempre stata per la riuscita, non contro presunti nemici o competitors. Non è un caso che di recente abbia aumentato la propria area d’influenza, attraverso l’acquisizione di due laboratori: Labmet, a Maniago (PN), aggiudicandosi la gara per la sua gestione, in partnership con Agemont (Agenzia per lo sviluppo della montagna della Regione Friuli Venezia Giulia), e Alpilab, a Buttigliera Alta (TO), di cui detiene il 70 per cento. Allora, qual è la battaglia che le aziende come la vostra stanno compiendo in questo momento?
Quando un’azienda cresce, uno dei compiti dell’imprenditore è essere lungimirante e predisporre piani triennali. In questo momento, però, l’assenza di certezze impone anche alla media impresa di guardare al breve periodo. Quindi, purtroppo, spesso le aziende sono costrette a combattere solo la battaglia campale quotidiana. Quando parliamo di battaglia, la prima cosa che viene in mente è l’esercito che deve combatterla. E l’esercito è composto di persone, del loro know-how, delle loro competenze, e di finanza (anche nel senso delle risorse che occorrono per comprare un carro armato). Se parliamo di finanza in questo senso è risaputo quanto, in questo momento, siamo sofferenti soprattutto noi piccoli imprenditori. Per la valorizzazione del capitale umano abbiamo sempre cercato di lavorare e, oggi, stiamo raccogliendo qualche frutto, mentre per la finanza, invece, non ci saremmo mai aspettati d’incontrare le difficoltà che stiamo attraversando, e l’esercito ne risente, tanto che incomincia a prevalere la paura del domani, una paura che negli anni scorsi non abbiamo mai avvertito a questo livello.
La seconda cosa a cui pensiamo quando parliamo di battaglia è il territorio di combattimento, in base al quale l’esercito prepara le proprie azioni. Ebbene, oggi siamo spiazzati: il territorio, il contesto economico, i clienti, ciò che dobbiamo conquistare con le capacità del nostro esercito cambiano continuamente e completamente e sono venuti meno quasi tutti i punti di riferimento che avevamo in passato. Stiamo cercando di individuare i nuovi, ma, come tutto ciò che è nuovo, non sappiamo ancora se quanto abbiamo seminato e stiamo annaffiando sarà un cespuglio, una pianta o una quercia e attendiamo speranzosi. Per TEC Eurolab questo è stato un anno di grande semina, ma devo dire che avevamo due possibilità: conservare o crescere, tenere le nostre bombole di ossigeno per poter resistere in apnea, sperando che qualcosa cambiasse autonomamente e, quindi, si tornasse naturalmente alle situazioni degli anni passati, oppure, utilizzare gran parte di questo ossigeno come propulsione per sfruttare appieno il minimo accenno di corrente ascendente. Abbiamo fatto questa seconda scelta e abbiamo investito nell’acquisizione di altre imprese che ci aprono nuovi territori, confermando quella che è un’indicazione molto attuale: cercare di aumentare le proprie dimensioni, puntando sul fatto che l’azienda ben patrimonializzata ha tutte le carte in regola per giocare bene e combattere questa battaglia per la riuscita.
Ma, oggi, chi sta spezzando una lancia a favore delle piccole e medie imprese che investono?
Al contrario, capita di leggere sui giornali inviti di responsabili sindacali, per esempio, relativamente alla riduzione dell’IRAP, a smettere di aiutarle: “Basta aiuti alle imprese, cominciamo ad aiutare le famiglie e i lavoratori”. Sono assolutamente concorde sulla necessità di fornire aiuti alle famiglie e ai lavoratori, ciò che non mi trova d’accordo è la frase: “Basta aiuti alle imprese”, perché non ci sono stati aiuti alle imprese. Sulla ricerca sono stati tagliati i fondi e abbiamo, inoltre, dovuto subire l’umiliazione del “click day”, meccanismo attraverso il quale in pochi secondi sono stati bruciati gli interventi da qui al 2012. La definisco umiliazione perché, dopo aver lavorato su un progetto per il quale sono state investite risorse, siamo stati giudicati in base alla velocità di trasmissione di una domanda per via telematica. È scandaloso. Come lo è il fatto che noi, nonostante chiuderemo in pareggio – e questo di per sé è un successo in questo momento –, dovremo pagare 120 mila euro di IRAP. Indipendentemente dal fatto che chiudano in pareggio o in perdita, le aziende dovranno trovare i soldi per le tasse, mentre lo stato non si preoccupa di trovare i fondi per affrontare le politiche industriali di cui ci sarebbe bisogno.
Allora, è chiaro che non c’è nessuno che spezzi una lancia a nostro favore, siamo soli, lo siamo sempre stati e lo siamo anche in questo momento. E sarebbe opportuno che smettessero di fare dichiarazioni alle quali non seguono azioni concrete. Ormai, evitiamo di leggere persino i giornali per non trovarci dinanzi ad articoli intitolati Basta spese improduttive, dove apprendiamo che nel nostro paese ci sono circa quindici miliardi di euro di spese improduttive. Noi abbiamo un progetto di ricerca che permetterebbe di realizzare cose straordinarie, ma se volessimo portarlo avanti dovremmo finanziarlo totalmente da soli perché non c’è modo di ricevere finanziamenti né dalle banche né dallo stato. Soli eravamo, soli siamo e soli saremo. Certamente questa è una caratteristica degli imprenditori, non sto lamentandomi della cosa in sé, ma non possiamo far passare un’idea diversa, quella di aiuti e sostegno alle imprese. A disposizione c’è stato lo strumento della cassa integrazione, per chi ne ha usufruito, noi non ne abbiamo usufruito nemmeno per un minuto e speriamo di riuscire a procedere in questo modo.
Quindi, nella battaglia occorre trovare ciascuna volta la via, sempre procedendo dall’apertura, senza pensare di avere davanti né il nemico né, tanto meno, qualcuno che possa essere amico…
Si vive una condizione di solitudine, diversamente da ciò che viene propugnato continuamente: “Fare sistema, fare territorio”. Quando abbiamo la prova che un sistema funziona? Nei momenti di crisi. Per questo dobbiamo concludere che nel nostro caso non c’è un sistema. C’è una grande industria – piccola se confrontata con quelle di altri paesi – che per tanti anni o ciclicamente ha fatto sviluppare un indotto di aziende di sub-fornitura, alcune delle quali sono diventate di eccellenza e sono riuscite addirittura a svincolarsi dalle commesse iniziali. Però, in un momento di crisi, il primo tassello sul quale si rivale è il sistema che essa stessa ha creato: fino a tre mesi prima invitava i fornitori a fare investimenti, ad acquistare nuove macchine, a lavorare di notte per vincere la concorrenza, poi, improvvisamente, annulla gli ordini e, successivamente, effettua pagamenti dilazionati fino a costringere le piccole imprese dell’indotto a non riuscire più a far fronte ai debiti. Questo è il sistema del nostro territorio? Questa è la Motor Valley?
Nonostante tutto, quando ci caliamo nella realtà di ciascuna singola impresa, vediamo l’imprenditore che lavora, s’impegna, è costretto a essere ottimista, investe e cerca di ottenere crediti, in una battaglia continua ciascun giorno.
Si dice che questo approccio all’impresa sia la grande forza del nostro territorio. Io dico che questa è la grande forza di migliaia di piccoli imprenditori che lottano tutti i giorni. E a chi dice che il modello Emilia-Romagna è da esportare, rispondo che non è possibile, se non esportando i ventimila imprenditori che lavorano in questo territorio. Non si può esportare una politica che è solo l’osservazione di ciò che accade nel mercato.