LA LETTERATURA DELLA VITA
Per censura s’intende comunemente il controllo esercitato da un’autorità sulla comunicazione verbale, soprattutto nella forma scritta, per immagini o attraverso altre forme di espressione. Tale controllo è stato ritenuto applicabile, nella maggior parte dei casi, all’ambito della comunicazione pubblica, per esempio quella a mezzo stampa o di altri strumenti di comunicazione, ma, in non pochi casi, anche al controllo dell’espressione dei singoli. Nei secoli, con l’aumento del numero di media, con l’invenzione della stampa, della fotografia, del cinema, della radio e della televisione, di internet, sono aumentati i campi a cui la censura comune si applica. Se una volta la stampa era il bersaglio privilegiato della censura, ora lo sono i media più moderni.
La censura comune è da sempre uno strumento del potere, praticato con tanta più forza e capillarità quanto più viene inteso in modo assoluto da parte di chi lo esercita. Quando parliamo di censura rivolta al pensiero e alla sua espressione, il riferimento va tradizionalmente alla chiesa, ai regimi totalitari e alle dittature del XX secolo; nell’ambito della sicurezza, il riferimento va ai periodi di guerra o alle grandi calamità e, nell’ambito della morale, va all’espressione e alla comunicazione per immagini. La battaglia contro queste forme di censura comune, in direzione della libertà di espressione, è una battaglia condivisa nel pensiero e nella cultura occidentali, quasi una marca della sua specificità, messa tuttavia immediatamente in questione quando sentiamo minacciata la nostra sicurezza sociale, i nostri convincimenti, le nostre certezze, o quando viene introdotto un nuovo sistema di valori o un nuovo media.
Esiste un’altra forma di censura comune, quella che incontriamo, fin dalla primissima infanzia, da parte dei genitori, della famiglia, della scuola: la censura del comportamento, quella che, sul versante privato, ci rimanda più direttamente all’Ufficio del Censore dell’antica Roma, che, secondo l’etimo censeo, “valuto”, giudicava il comportamento pubblico dei cittadini. E qui c’è un’altra battaglia, che riguarda il diritto alle libertà più individuali, al desiderio, all’invenzione, alla scrittura, alla sessualità. Rispetto alla questione della censura, il contributo di Freud e della psicanalisi è stato notevolissimo: a lui si deve un’altra lettura della nozione di censura, centrale nella sua elaborazione. Esiste una censura per ciascuno, non soltanto quando ci sembra di metterla in campo intenzionalmente sull’opportunità sociale dei nostri comportamenti e delle nostre espressioni verbali, ma soprattutto quando non avvertiamo questa intenzione: nei lapsus, negli atti mancati, nelle omissioni, nelle dimenticanze, nella difficoltà a raggiungere un obiettivo, nei sogni. È qui che Freud reperisce il primo modello di censura: quello nella traduzione dal contenuto “latente” al contenuto “manifesto”.
Secondo alcune ricerche antropologiche recenti, la nozione comune di censura è molto remota, addirittura difficile da storicizzare, sicuramente preromana e riguardante il passaggio dalle società matriarcali mediterranee a quelle patriarcali. La battaglia contro la censura non è stata prerogativa solo di alcune epoche storiche, come il Settecento e l’Ottocento, ma ha attraversato la storia e non può dirsi certo conclusa. Se è vero che i roghi dei libri sono spesso andati di pari passo con i roghi delle persone, oggi per i primi, come per qualsiasi altra forma di espressione, ci sono altre modalità più sottili di eliminazione, forme moderne di censura: l’arma economica, il nascondimento, l’esclusione, l’oblio.
E c’è la censura che quotidianamente ciascuno rivolge verso se stesso. La scrittura e la sua libertà, attraverso i vari media, come il libro e, oggi, internet, sono il risultato di una battaglia che ciascuno affronta quotidianamente anche in altri termini e che non può dirsi mai conclusa. Anche perché la scrittura, quella che non parte da una competenza e da una facoltà, ma da ciò che si dice, da ciò che si fa e da ciò che si conclude, riguarda ciascuno e la pulsione che lo concerne, con importantissimi risvolti clinici, come sottolinea la cifrematica, attinenti la felicità, la salute, la sessualità, il fare, la riuscita, la vita.
La casa editrice Spirali pubblica oggi il Libro della origine delli volgari proverbi del medico veneziano del ‘500 Aloyse Cynthio de gli Fabritii – prima opera messa nell’indice dei libri proibiti dalla Repubblica Veneta, su intervento di alcuni frati francescani, perché considerato lesivo della maiestas divina della Chiesa, ma anche perché in contrasto con la morale e con il costume dei tempi. Si tratta di un’operazione non solo di recupero letterario, ma anche di testimonianza di una battaglia e del modo in cui la letteratura, in particolare nel rinascimento, possa essere una letteratura della vita, al di là di ogni censura.