Letteratura

  • Nel suo libro La mia ira (Spirali), nel capitolo Sberleffi d’altro mondo, sull’altermondialismo, lei dice che un conto è l’ingiustizia e un altro è combattere l’ingiustizia con altra ingiustizia. In che senso il movimento dei no global propone un’altra ingiustizia?

  • Il libro di Giorgio Antonucci Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri (Spirali) è complesso, non solo per il numero di pagine e per la corposità del testo, ma per il modo con cui è stato scritto. C’è una sorta di filo d’Arianna che conduce all’interno di un ospedale psichiatrico, l’Ospedale Psichiatrico di Imola, a partire dall’esperienza dell’Autore. Un’esperienza diretta che fa da filo conduttore all’esplorazione di uno spazio, un’istituzione totalizzante, in cui a un individuo vengono ridotte le capacità di libertà individuale e di movimento. È uno spazio totale in senso

  • Ho molta fortuna perché nel mio conversare qua e là, che parli in francese o in inglese o in spagnolo, sono sempre tradotto (anzi, migliorano quel che dico), come se ci fosse lo Spirito santo.

    Miguel de Cervantes Saavedra morì precisamente a tredici metri e mezzo – non un millimetro di più né uno di meno – dal luogo in cui dichiarai il mio amore alla mia Dulcinea. Avevo, allora, diciannove anni e Cervantes è morto dove doveva morire. Shakespeare ha detto: “La rosa si chiama rosa e non può chiamarsi in altro modo”. Egli dice anche che le cose accadono quando e dove devono accadere. Ed

  • È uscita la nuova raccolta di versi di Ennio Cavalli, già ampiamente anticipata nell’autoantologia Cose proprie (Spirali, 2003). S’intitola Libro di sillabe (Donzelli, 2006). Pubblichiamo due poesie con il commento dell’Autore.

    “MEMORIA”

    La memoria è un Picasso,

    fa ritratti con l’anima.

    Cala un fiore dall’alto

    lo squillo di un orecchino. 

    La memoria è un detective,

    niente resta impunito.

    La rosa dello sparo

    la mano nella mano

    l’idea lunga di Dio. 

    Un profumo o un limone

    sollevano botole.

  • Intervista di Simone Serra

    Regista affermato, poeta, fotografo acclamato: qual è la ricetta del suo successo?

  • Se nei loro lavori precedenti della collana “L’arca. Pittura e scrittura” (Spirali), Shen Dali e Dong Chun stabilivano vertiginosi contatti fra la poesia cinese e la pittura occidentale, in questa nuova pubblicazione, che riguarda Ferdinando Ambrosino, pittore campano vivente, e Andrej Rublëv, un monaco-artista russo, nato intorno al 1360 e morto a Mosca nel 1430, il loro sguardo-indagine si sposta, ma fascino e problematicità restano. I due autori si muovono fra icone e vangeli, leggende russe e richiami della cultura e poesia cinese e poesia francese. E non mancano richiami al buddismo.

  • Non si finisce mai d’imparare, si potrebbe dire che è l’unica nostra vera professione. Ho realizzato circa venti film – e diversi cortometraggi e documentari – e in questo momento sto lavorando al mio ventunesimo. Sono, come si dice, un uomo impegnato, ma imparare fa parte dei miei impegni, o forse dovrei dire che imparare è il mio mestiere, studio continuamente film, anche mentre realizzo i miei. Lo stesso percorso di realizzazione di un film è per me una lezione, un percorso di apprendimento e di educazione.

  • Il mio discorso, breve, relativo al libro di Marco Maiocchi, Archestesie, ha cinque livelli. Il più basso è che sono stato presente nel libro come mangiatore di tartufo, e sono contento di averlo fatto.

    Il secondo è quello del gioco che condividiamo con Maiocchi e gli altri amici coautori del libro, e che è una scelta epistemologica. Il gioco è il luogo in cui si fanno le cose che altrove non si fanno, e quando si fanno le cose nel gioco si scoprono realtà impreviste.

    Questi sono i primi due livelli del discorso che nasce dal libro, ma ce ne sono altri, con cui entriamo

  • intervista di Francesca Baroni e Simone Serra

    Oltre che regista, lei è scrittore, pittore e architetto. Perché questi modi differenti di comunicare?

  • Quando scrivo, sono solo. Quando faccio un film, è impossibile essere solo, ho bisogno anche di un ambiente esterno, mentre, quando scrivo, ho soltanto bisogno delle strutture del linguaggio e posso anche creare dal nulla elementi di un ambiente esterno. Nel film ho bisogno di attori, di sceneggiature, di scenografie. Nel romanzo, invece, posso scrivere, per esempio: “piove” e il lettore può anche controllare fuori dalla finestra e darmi del bugiardo! L’autore non è bugiardo: ha creato la pioggia scrivendo. Nel film, avrebbe avuto bisogno di particolari scenografie, di macchine che creano