COME CONTRIBUIRE ALLA FORMAZIONE DELLA PROSSIMA GENERAZIONE IMPRENDITORIALE

Lei è stato eletto presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Emilia Area Centro per il quadriennio 2023-2027. Qual è il programma cui punta la sua squadra in questo mandato?
Il nostro obiettivo è quello di contribuire alla formazione della prossima generazione imprenditoriale, pertanto il nostro programma risponde a questa missione e a questo compito, attraverso iniziative rivolte sia agli associati, che puntiamo a far crescere in termini quantitativi e qualitativi, sia ai giovani che frequentano le scuole superiori e le università e possono avvalersi dell’incontro con noi per incominciare ad avere dimestichezza con un’esperienza d’impresa. È in questa direzione il nostro impegno assoluto nel progetto Crei-amo l’impresa!, iniziativa che i Giovani Imprenditori di Confindustria Emilia-Romagna e l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna promuovono da anni e che consiste nell’ideazione di progetti imprenditoriali “giovani e innovativi” per valorizzare le attitudini culturali e professionali degli studenti, le conoscenze acquisite nel percorso scolastico, nonché le vocazioni economiche e le opportunità che offre il territorio. Ma anche i nostri associati traggono giovamento dalla loro funzione di tutor delle classi che partecipano al concorso, come avviene in ciascun dispositivo di formazione in cui maestro e allievo sono attori di un itinerario che porta entrambi a mettersi in gioco.
Quindi il vostro compito è quello di provocare la domanda di divenire imprenditori anche in coloro che non provengono da una famiglia imprenditoriale?
Assolutamente sì, verso i ragazzi che non sono già in un contesto imprenditoriale l’obiettivo è sicuramente questo, ma anche quello di fornire strumenti per affrontare le difficoltà che intervengono nel fare impresa. E questo vale anche per chi invece ha fondato una propria impresa o ha proseguito quella di famiglia: possiamo fornire strumenti tecnici, come corsi di marketing o di leadership, o di sviluppo delle cosiddette soft skills, ma soprattutto possiamo avvalerci degli incontri all’interno del nostro Gruppo per confrontarci e constatare come spesso i problemi che sono considerati frutto di sfortuna o di presunte incapacità e inadeguatezze soggettive dipendano da questioni linguistiche, ovvero dal modo in cui le cose si dicono. A volte mi capita di pensare che in una giornata non ho fatto altro che parlare e ascoltare. Eppure, senza i dispositivi della parola, i conflitti, i litigi, i battibecchi sono all’ordine del giorno e producono inghippi, intoppi e blocchi che hanno effetti devastanti sull’organizzazione e sulla produzione. Ascoltando un giovane che dice di essere inadeguato per seguire l’impresa di famiglia, per esempio, si può intervenire mettendo una pulce nell’orecchio e fare in modo che non dia per scontata questa idea di sé. Allora, magari, si può intendere quali siano le paure che frenano la sua spinta imprenditoriale e dissiparle nella conversazione.
Ma per questo tipo di ascolto occorre una finezza che non può essere improvvisata. A proposito di soft skills, lei ha sempre coltivato la lettura di testi che andavano ben oltre i programmi scolastici e universitari. Inoltre, è protagonista dal 2007 delle attività organizzative e redazionali dell’Associazione culturale Progetto Emilia Romagna – che pubblica questa rivista e organizza eventi internazionali ai quali lei è intervenuto come relatore fin da giovanissimo – e dell’equipe di ricerca e impresa cifrematica di Modena…
Sicuramente per ascoltare occorre un allenamento linguistico costante e un’attenzione estrema alla parola, che la cifrematica come scienza della parola esige. La parola è scientifica, perché nessuna parola vale l’altra, non c’è equivalenza fra le parole e per questo le cose trovano la riuscita parlando e ascoltando, non affezionandosi alle proprie idee. Per esempio, quando discuto con un collaboratore o con un associato, a me non interessa difendere la mia idea: se il mio interlocutore propone un’idea che risulta più efficace, è la cosa migliore che possa accadere, perché ottengo simultaneamente l’intervento migliorativo e ho l’occasione per complimentarmi con lui e rafforzare la nostra alleanza. Se invece ognuno vuole rincorrere la propria idea in quanto tale, è chiaro che si litiga e, nella lotta per il puro prestigio, come la chiamava Hegel, nei conflitti, chi vince perde.
Le attività che svolgiamo nei vari dispositivi dell’associazione devono essere sempre “win-win”: quando ci troviamo a organizzare eventi, per esempio, non prendo mai decisioni senza che siano discusse con la squadra. Lungo la discussione può accadere che emergano posizioni personalistiche, invece, è importante riuscire a interpretare ciascuno scenario con distacco e cercare di capire come è opportuno procedere in modo pragmatico, non sulla base di preferenze soggettive. Lo stesso esercizio si fa ciascun giorno in azienda. Capita che alcuni reparti o collaboratori siano in conflitto, allora occorre parlarne per capire qual è la questione, in modo da ipotizzare interventi specifici, perché non si tratta mai di dare ragione a Tizio o a Caio, ma occorre capire qual è l’intervento che garantisce l’efficacia del dispositivo di produzione, per esempio, o la soddisfazione del cliente o la marginalità dell’impresa. Verosimilmente, ciascuno sta dando il suo apporto in quella direzione, per quanto parziale, quindi si lavora procedendo dall’integrazione, per riuscire a tenere conto del contributo di ciascuno e andare oltre le idee soggettive.
Come Niccolò Machiavelli ha inventato l’arte dello stato, lei inventa l’arte e la cultura dell’impresa con il suo approccio intellettuale, in cui la battaglia non è contro qualcuno, ma per la riuscita…
Nella vita dell’azienda la battaglia è imprescindibile, anche perché s’incontrano parecchie circostanze in cui dall’altra parte c’è qualcuno che non ha un approccio intellettuale e ragiona come se si trattasse di spartirsi una torta, quindi vuole tenere per sé la fetta più grande. In quei casi la battaglia non è per nulla facile e non si possono fare concessioni al buonismo, occorre un lavoro diplomatico: si tratta di capire che cosa è importante per l’interlocutore, di tenere conto anche di ciò che è importante per se stessi e per la propria impresa e di riuscire a portare la discussione su una posizione che prenda in considerazione i bisogni di entrambi, evitando la trappola dell’affrontamento inscenato da chi vuole ottenere qualcosa a discapito degli altri, perché la via della rigidità è senza uscita e non porta nessun arricchimento. Soltanto la procedura per integrazione consente di non rispondere realisticamente facendo specchio all’affrontamento e di trovare gli strumenti linguistici per portare la situazione alla negoziazione su una posizione che sia ragionevole per entrambi. Poi dipende dall’interlocutore, ci sono anche coloro che hanno solo necessità di sentire esposte le proprie ragioni, ma se si porta un’argomentazione ragionevole la capiscono e sono costretti di fatto a tenerne conto. Comunque è una battaglia da fare e richiede invenzione, perché l’argomentazione ragionevole deve essere inventata, non è già lì, a portata di mano, deve essere formulata con le parole e con il tono richiesti dall’intervento specifico in ciascun caso.
In che termini auspicate che si scriva il vostro contributo per l’avvenire del nostro territorio?
Il nostro Gruppo rappresenta tre province importanti, Bologna, Ferrara e Modena, in cui operano migliaia di imprese e di giovani imprenditori. La nostra scommessa è che diventino molti di più nei prossimi anni. In vari settori in Italia c’è la tendenza a rifarsi al passato, a considerarsi eredi dell’Impero Romano o del Rinascimento, o tutt’al più al presente, mostrandosi orgogliosi di avere nella nostra regione le filiere dell’automotive, dell’agroalimentare, del biomedicale e di altri 21 comparti che producono le eccellenze del made in Italy. Ma tutto ciò non esiste per grazia ricevuta, bensì perché qualcuno ha condotto la sua battaglia per inventare ciò che non esisteva prima e per costruire una realtà nuova. E noi dobbiamo fare altrettanto, non appoggiarci su quello che esiste già. Allora, chiediamoci quali saranno le nuove filiere fra vent’anni, perché non è detto che siano le stesse e, se lo saranno, non saranno comunque come le conosciamo ora, dovranno essere reinventate. Il nostro contributo deve andare in questa direzione.
È una bellissima scommessa, una chiamata alle armi per i giovani…
Ce n’è bisogno, perché ci sono moltissimi giovani di talento che è importante non si sentano soli o sperduti, senza riferimenti, come se l’impresa fosse una questione soggettiva o familiare. Bisogna evitare che qualcuno si senta inadeguato, perché fare impresa o guidare un’azienda non è una cosa semplice. La questione si gioca sull’entusiasmo, sull’investimento e chi ha interesse per il proseguimento nell’azienda di famiglia deve chiedersi che cosa è disposto a mettere in gioco. Le difficoltà non devono essere percepite come limiti soggettivi. Ecco perché sono importanti gli incontri associativi: per ascoltare le testimonianze di altri che magari incontrano le stesse difficoltà, ma trovano ciascuna volta una via efficace e ingegnosa, senza farne una questione soggettiva. Quante imprese non proseguono perché magari il figlio dell’imprenditore ha pensato che fosse troppo difficile per lui, senza mai cimentarsi nell’esperienza?
La vita dell’impresa ciascun giorno è differente e i risultati sorprendono l’imprenditore stesso, se non pone limiti e non fa sbarramento all’Altro, all’imprevisto e all’incalcolabile, che procede dal calcolo estremo. Oggi si parla tanto di accoglienza delle differenze, ma la differenza più importante è proprio quella che procede dalle cose che si fanno e che ci sorprendono. In questo senso il vostro messaggio è essenziale per la civiltà. E l’ostilità verso l’impresa da parte di un’ideologia che esalta la fine del lavoro è l’ostilità contro la civiltà…
L’ostilità verso l’impresa è davvero incomprensibile. Che cosa fa di male un imprenditore? Propone, genera opportunità per chi intende cimentarsi nel suo progetto e non obbliga nessuno a seguirlo. Non si capisce come possa disturbare un imprenditore: se non incontra un pubblico interessato, se non ha nessuno che lavora per lui, nessuno che compra i suoi prodotti, è costretto a chiudere. Il problema esisterebbe invece se ci fosse un solo imprenditore, ma, se ce ne sono mille, ciascuno può trovare l’opportunità che gli interessa. Non la trova? Che apra un’impresa a sua volta. Se ci fosse carenza d’imprese, allora sì che dovremmo preoccuparci, perché la proposta sarebbe delegata allo stato e ognuno ne sarebbe ricattato, non così se ci sono milioni di imprese e ciascuno ha la libertà di sceglierne una o d’inventarne una a propria volta.
La libera impresa è una delle invenzioni di maggior valore della civiltà occidentale, per questo è molto importante fare in modo che ciascuno possa avvalersi dei nostri interventi, non soltanto coloro che diverranno imprenditori. L’impresa contribuisce alla civiltà e, dando un contributo alla diffusione della cultura d’impresa, diamo un contributo alla civiltà.