IL VENTO DELLA CULTURA È IMPRESCINDIBILE PER L’IMPRESA

A proposito del tema che affrontiamo in questo numero, Il
vento dell’impresa, in ventotto anni di attività, TEC Eurolab non ha mai
aspettato che il vento fosse favorevole, anzi, spesso ha contribuito a
instaurare un vento nuovo quando occorreva investire per offrire ai clienti tecnologie
più avanzate. Non a caso, è diventata un riferimento europeo come centro di
competenze tecniche e laboratori di prove per alcune fra le più importanti realtà
industriali e aerospaziali, non solo offrendo la sicurezza che i loro materiali
e processi garantiscano le prestazioni attese, ma anche intervenendo come
partner tecnico nello sviluppo di nuovi prodotti, attraverso l’utilizzo di
eccellenze dei controlli non distruttivi, come la tomografia industriale,
interfaccia indispensabile dell’additive manufacturing.
Che cosa evoca per lei il vento dell’impresa? Mi
vengono in mente due immagini: la prima è quella dell’impresa come una nave che
deve andare sempre avanti, sia quando ha il vento in poppa sia quando deve
navigare di bolina, controvento e a velocità ridotta.
L’imprenditore deve saper gestire le tendenze del mercato
proprio come il navigante deve conoscere le correnti del mare e la rosa dei
venti.
La seconda è l’immagine di un treno che passa veloce e
solleva tutte le cose intorno. Quando un’impresa riesce a essere innovativa, ad
acquisire una sua velocità, quante cose solleva: ciò che prima era immobile, improvvisamente,
è come se prendesse vita. Quando un imprenditore riesce a intraprendere o a
seguire un nuovo filone, si accorge che c’è una nuova tecnologia da
approfondire, che c’è qualcosa da fare e nessuno la sta facendo, allora
incomincia a farla, imprime una forte spinta al suo sviluppo e, mentre percorre
questa rotta, ha bisogno di persone che prima erano impegnate in altre cose, ha
bisogno di un artigiano esterno che esegua quella lavorazione per la prima
volta, ha bisogno d’inventare una macchina che non esiste sul mercato, allora
deve farla progettare agli ingegneri dell’azienda, che prima si occupavano di altro:
questa è l’immagine del treno che attraversa una pianura e solleva le foglie e
tutto ciò che c’è intorno.
Ma se, da una parte, il vento dell’impresa è fonte di
opportunità, dall’altra, l’impresa, muovendosi all’interno di un territorio, è
sottoposta a pressioni, a situazioni, a politiche cui deve adattarsi.
Il treno che solleva le cose può essere quello della
politica dell’impresa, quindi ciò che l’impresa riesce a organizzare all’esterno,
oltre che al suo interno, ma anche quello della politica per l’impresa,
che l’impresa spesso deve subire, per esempio, il quadro normativo,
l’imposizione fiscale, la mancanza o la scarsità di agevolazioni, il mercato
del lavoro, tutte cose che rappresentano venti ai quali l’impresa deve
adattarsi, che deve sapere gestire e che a volte sono fortemente mutevoli.
Fino a qualche mese fa, prima delle elezioni, per esempio,
non c’era dibattito di politica per l’impresa che non facesse riferimento a
Industria 4.0 e a tutto ciò che occorreva per essere competitivi e per
affrontare le ricadute sul mondo del lavoro. Cambiato il governo, non si sente
più parlare di robot e d’intelligenza artificiale, ma di sussidi, di redditi di
cittadinanza, di chiusura delle frontiere, di allontanamento dagli ideali
europei, perfino l’euro viene messo in discussione.
Non si parla più di cose da fare ma di cose da bloccare,
tutte idee distanti dal mio modo d’intendere l’impresa, quasi una previsione di
vento contrario all’impresa, che mi mette in guardia.
Tuttavia, non possiamo certo dire che, siccome è cambiato il
vento, ci fermiamo in attesa di un vento favorevole.
Bisogna andare avanti. Faremo ciò che occorrerà fare. Il
vento a volte ci accompagna e altre volte ci costringe a contrastarlo per
proseguire. L’importante è avere la capacità di gestire le situazioni che
intervengono man mano, propiziando nuove opportunità per giungere al valore. Ho
letto di recente il libro di Carlo Dessy, Qualcosa rimane sempre (Spirali):
ciò che rimane sempre è il valore. Per questo, l’impresa deve riuscire a
produrre valore, utilizzando ciò che può utilizzare al suo esterno e
continuando all’interno, indipendentemente dalle condizioni esterne, nella
costruzione del valore per le proprie persone, per i propri clienti e per il
territorio, anziché usare il pretesto che il vento è cambiato, per non
impegnarsi. Le cose non sempre vanno per il verso giusto, ma sono da governare,
in un modo o nell’altro.
Nel governo dell’impresa, in che misura lei trae
vantaggio dagli incarichi istituzionali come presidente di Alpi (Associazione
dei Laboratori di Prova e Organismi di Certificazione Indipendenti) e vice
presidente di Eurolab (Federazione Europea delle Associazioni nazionali dei Laboratori
di Misura, Prova ed Analisi)? Quanto è utile la frequentazione di tavoli internazionali
per avere notizie di prima mano sui venti che cambiano e acquisire maggiori
strumenti di lucidità nelle decisioni strategiche? Indubbiamente, le
relazioni internazionali consentono di analizzare in modo molto più preciso le
dinamiche dei mercati: è come disporre di un servizio meteorologico, anziché
basarsi sulle proprie sensazioni di caldo, freddo, secco o umido.
Avere informazioni intorno a ciò che sta accadendo lontano
da noi aiuta a governare la nostra situazione, se non a prevederla. Oggi più
che mai, soprattutto l’imprenditore, il capitano, colui che sta in vedetta, deve
essere continuamente aggiornato, curare le relazioni, imparare cose nuove, capire
le tecnologie, anche senza essere uno specialista, capire le trasformazioni
sociali, anche senza essere un sociologo, adottare un approccio filosofico nei
propri ragionamenti e nelle proprie decisioni, anche se non è filosofo.
Ma questo è possibile soltanto se frequenta varie occasioni
di parola, tavoli internazionali e convegni di taglio differente – tecnico,
filosofico, scientifico, artistico – dove magari ascolta nomi sconosciuti e
cose che sembrano lontane dalla propria pratica, però a volte sono le stesse
che s’imprimono nella memoria e intervengono in modo inaspettato quando occorre
prendere una decisione.
È un processo intellettuale imprevedibile, per questo è
importante non chiudersi in se stessi, nelle proprie competenze, nelle proprie
convinzioni, perché le convinzioni sono come la vita, in un percorso, in un
viaggio incessante: un anno fa ero convinto di una cosa, che oggi può essere
ridicola, ma non perché un anno fa fossi un cretino, ma perché sono cambiate le
condizioni. Questo è veramente importante per l’imprenditore nelle relazioni
che riesce a tessere con altri imprenditori, ma anche con realtà che apparentemente
non hanno nulla a che fare con la propria azienda. Negli incontri culturali si
apprendono cose che si sedimentano e poi aiutano a gestire meglio il vento che
abbiamo intorno, sperando che non sia mai uragano, anche perché davanti a un uragano
tiriamo giù tutte le vele e cerchiamo di correre ai ripari.
Mi piace molto la metafora dell’impresa come una nave perché
necessita di tanti dispositivi, tanti motori, tante persone, e il capitano può
indicare la rotta, può anche mettersi al timone, ma da solo non va da nessuna
parte, ha bisogno di un bravo equipaggio perché, quando arriva la tempesta, c’è
poco da “fare ammuina”, come si raccomandava nella Marina Borbonica per
confondere il nemico, bisogna intervenire in modo preciso. Inoltre, c’è
un’altra similitudine fra l’impresa e la nave: nessuno può guidare la nave da
solo, ma un singolo uomo può mandarla a picco. In quanti hanno determinato la
fine della Concordia? Non si sono messi d’accordo in cinquecento per andare
sugli scogli, sono bastate una persona o due. La nave è così, come l’impresa. A
volte, però, ho l’impressione che l’impresa non sia più una nave, ma un surf,
per cui devi stare sulla cresta dell’onda, bilanciandoti, facendo attenzione
che l’onda non ti passi sopra e sperare di andarci in mezzo. L’immagine del surfista
è un’immagine individuale e, mentre la nave, se è costruita bene, dà la
possibilità di governarla per sopravvivere alla tempesta, il surfista un po’
meno. Tuttavia, l’immagine del surfista evoca un’idea di velocità, di
elasticità di movimento in funzione di qualcosa che cambia rapidamente, mentre la
nave se ne va dritta per la sua rotta e non si sono mai viste navi che facciano
surf, tranne nello tsunami, dove una nave può trovarsi “ormeggiata” sul tetto
di una casa. Uno tsunami può accadere anche nell’economia, nella politica delle
nazioni, e quando capita ti porta in quelle condizioni, per cui, speriamo non
capiti mai.
Lasciamo lo tsunami alla natura e volgiamoci
all’industria, perché, come diceva Machiavelli, “l’industria può più che la
natura”...
Pensare che facciamo riferimento ancora a un grande del rinascimento.
Sarebbe bello che oggi spirasse quel vento, il vento della cultura e dell’arte,
invece, troppo spesso accade che le idee siano giudicate in base al numero di
“like” che riescono a collezionare. Occorrerebbe un programma ventennale d’investimento
sulla cultura e la formazione, allora sì che cambierebbe il vento. Immaginiamo che
cosa sarebbe l’Italia se i ragazzi entrassero nella società dopo avere ricevuto
una vera formazione, non un indottrinamento: sarebbe un vento che porterebbe
questa nazione a essere veramente protagonista nel mondo, con tutta la nostra
cultura, il nostro bello, le nostre industrie. Invece, c’è un’ignoranza
congenita nella popolazione che è una zavorra incredibile, che poi è quella che
alimenta le mafie, il malaffare, l’evasione fiscale.
Si gioca tutto lì. Che vento sarebbe il vento della cultura.