PERCHÉ IL BRAINWORKER NON È FUNZIONARIO DELL'UMANITÀ

Qualifiche dell'autore: 
docente di Filosofia teoretica all’Università Statale di Milano, Accademico dei Lincei

Che cosa intende Socrate quando dice che i filosofi sono gli unici che possono governare con giustizia, cioè garantire una scienza politica che tolga i lutti e le violenze dalle città e dalle generazioni degli uomini? In sostanza vuol dire, a mio parere, una cosa molto semplice: vuol dire che soltanto l’incarnazione dell’ultrasensibile in una piccola comunità di uomini ultrasensibili può sollevare la politica a teologia, cioè alla “scienza” della vita eterna.

Ci sta dicendo che il potere deve essere, almeno idealmente, esercitato da uomini eunuchi, cioè da uomini liberati dal desiderio; da uomini che non si sono formati attraverso l’esercizio dell’identità e del riconoscimento fondati sullo scambio ineguale e ineguagliabile, ma attraverso la scelta pedagogico-razionale, esercitata da altri eunuchi e motivata dalla natura “aurea” delle loro “anime”. Principio della cooptazione. Istituzione di quel “potere monastico” che ha lungamente governato e determinato la figura e la funzione dell’intellettuale.

L’intellettuale è il vero politico perché parla in nome dell’universale, cioè della ragione di tutti e del bene comune. Resta il fatto che, se parla in nome dell’universale, allora propriamente non parla, poiché la parola e il nome si radicano originariamente nel desiderio, che non è né universale né individuale. Non è universale perché la parola è un evento; non è individuale perché l’individuo non è il prodotto e non è il proprietario.

Come “funzionario dell’umanità” (secondo la celebre espressione di Husserl) l’intellettuale ha perso gli attributi sessuali. Infatti, deve reprimere gli appetiti. Nel Medioevo si esige verginità e castità per potere essere filosofi, altrimenti non si è credibili. […]

Ciò che caratterizza la comunità politica della nostra epoca è che il politico non deve nascondere se stesso. Non deve celarsi dietro inaccessibili mura e fantasmagorici palazzi, dando spazio, a suo vantaggio, solo alla pura immaginazione. Al contrario, deve rendersi visibile, deve manifestarsi. Già Mussolini l’aveva capito: rispondeva (apparentemente) di persona alle innumerevoli lettere dei suoi ammiratori e ammiratrici: “Il Duce mi ha risposto!”. Oggi c’è la linea telefonica diretta, il fax, l’e-mail.

Dobbiamo concludere che la dialettica tra visibile e invisibile si è semplicemente rovesciata? Cioè che il sempre invisibile e ultrasensibile potere si è reso infine sensibile e visibile? No, la cosa non è per nulla così semplice: proprio la visibilità dell’esibirsi e del rendere noto custodisce il segreto della (sua) invisibilità.

Il segno, nel nostro tempo, è uscito allo scoperto. Esso nondimeno non è una “cosa”, poiché le supposte “cose”, alle quali ci lega una millenaria superstizione, non sono che funzioni ed effetti allucinatori della natura segnica del rimando.

Il segno resta segno e perciò rimanda. Ma viene in primo piano, non si cancella, non si nasconde come in passato, sicché non ha altra “cosa” cui rimandare oltre se stesso: rimanda al rimando stesso. Il cinto di Afrodite resta cinto, un oggetto trasferale, ovvero un segno che sta al posto di altro; solo che, esibendosi in sé, non trasferisce più su altro (per esempio sulla desiderabilità del possesso di Afrodite), ma trasferisce su di sé, e in questo senso è segno di sé (signum sui).

Questo giro di proposizioni, apparentemente astratte, dice allora in sostanza questo: che il potere politico si è trasferito nel cuore della dinamica del “render noto”, cioè che il potere è la comunicazione stessa: “giornalismo” (come già aveva intuito Nietzsche) e “televisione”.

Il potere sta lì. Non nel segreto del “palazzo”, non nella presunta sapienza degli intellettuali-eunuchi (ridotti ormai a semplici pagliacci televisivi), e neppure nelle supposte congiure dei “capitalisti” e delle loro “multinazionali”. Tutti costoro esercitano solo le scorie del potere, i suoi rifiuti e i suoi resti, sperimentando nel contempo una totale impotenza “politica”, nel senso forte della parola. Fanno i loro piccoli commerci e i loro affari, ma a condizione di pagare di continuo un attento e scrupoloso tributo alla “pubblica informazione” e alla “pubblica immagine”, sottomessi totalmente, come sono, a quella logica del segno che è venuta in primo piano e che occupa la scena sotto l’abusato nome di “democrazia”. […]

Il potere politico del segno fa sì che esso nasconda proprio rendendo noto, che è infatti proprio la principale funzione dei cosiddetti mezzi d’informazione e di comunicazione di massa.

* In occasione del dibattito suscitato in varie città dallo straordinario libro di Carlo Sini,

La libertà, la finanza, la comunicazione (Spirali), ne pubblichiamo alcuni brani, per gentile concessione dell’editore.

Share & Bookmark

×
Facebook
Pinterest
Digg
Email
GooglePlus
LinkedIn
PDF
Reddit
Tumblr
Twitter
Vkontakte
Whatsapp
MySpace
Print
Facebook
GooglePlus
LinkedIn
Twitter
Pinterest
Email
Digg
Reddit
Vkontakte
Tumblr
Print
More...
Facebook
GooglePlus
LinkedIn
Twitter
Pinterest
Email
Digg
Reddit
Vkontakte
Tumblr
Print
More...

Share & Bookmark

×
Facebook
Pinterest
Digg
Email
GooglePlus
LinkedIn
PDF
Reddit
Tumblr
Twitter
Vkontakte
Whatsapp
MySpace
Print