CONTRO OGNI SPERANZA
Voglio ringraziare la casa editrice Spirali per avere avuto il coraggio di pubblicare il mio libro Contro ogni speranza. 22 anni nei gulag delle Americhe. Quando fu pubblicato per la prima volta, nel 1984, il governo di Cuba e i suoi simpatizzanti dicevano che tutto quello che c’era scritto era falso. Ma, nel 1986, mentre ero ambasciatore degli Stati Uniti nella Commissione dei Diritti Umani, riuscii a inviare una commissione investigativa a Cuba, formata da sei ambasciatori che rappresentavano tutte le regioni del mondo, compresi i paesi comunisti dell’Europa dell’Est. Questa commissione poté verificare e documentare tutti gli orrori che avevo descritto nel mio libro, che narra i miei ventidue anni di carcere a Cuba. Tutto ciò che descrivo nelle mie memorie è stato documentato, e questa documentazione è a disposizione di chiunque volesse esaminarla presso la Commissione dei Diritti Umani di Ginevra.
Purtroppo, in tutto il mondo vige un doppio standard: si denunciano le violazioni dei diritti umani da parte di un paese e non di un altro. Gli stessi che si laceravano le vesti per denunciare le violazioni e i crimini del regime di Pinochet, guardavano in silenzio, o addirittura avanzavano giustificazioni, se a commetterli era Fidel Castro. Questo doppio standard esiste tutt’ora, Cuba gode ancora dell’appoggio di molti governi, della stampa e della gente di molte regioni del mondo. Spesso, mi viene chiesto perché Cuba abbia tutto questo appoggio: penso che Fidel Castro, con il suo atteggiamento di sfida contro gli Stati Uniti, abbia guadagnato la simpatia di molti perché gli Stati Uniti sono un paese molto odiato. Ma questo risulta profondamente immorale, perché il crimine e la barbarie vanno denunciati sempre, indipendentemente dal paese in cui vengono commessi. Non esiste una dittatura buona, né una dittatura di destra e una di sinistra. Eppure, ancora oggi, c’è una grande immoralità nel giudizio verso le dittature. Per esempio, alle Nazioni Unite, quando si parla di persone che vengono torturate, prima che i governi si pronuncino contro la pratica della tortura, si cerca d’indagare l’ideologia del torturato e del torturante e, in base alle proprie simpatie politiche, la tortura viene condannata oppure no.
Consideriamo, per esempio, la nomina da parte di Fidel Castro del fratello Raul come dittatore a vita. Fatto mostruoso ai giorni nostri, eppure, non ha suscitato l’indignazione dei governi né della stampa. Sono sicuro che se, invece, il presidente degli Stati Uniti Georg Bush nominasse suo fratello Jeff come presidente a vita, in tutte le capitali del mondo si organizzerebbero manifestazioni d’indignazione. Molti avevano pensato che Raul Castro, dopo essere stato nominato dittatore in sostituzione di Fidel, avrebbe dato un’opportunità ai rivoluzionari più giovani, ma non è stato così, nominò come suo secondo il più stalinista dei vecchi comandanti della rivoluzione, Machado Ventura, appartenente alla linea dura e sporco di sangue fino al collo. Ci sono molte illusioni e aspettative nel mondo verso Raul Castro, si spera che possa apportare dei cambiamenti a Cuba, ma non ci sarà nessun cambiamento e niente andrà in direzione della libertà e della democrazia. Da quando Raul Castro è al comando di una parte del governo, di fatto, la repressione è aumentata, tanto più perché egli aveva dichiarato che tutte le decisioni importanti sarebbero state sottoposte a Fidel e che sarebbe stato lui ad avere l’ultima parola. Molta gente aveva pensato che questo cambiamento coincidesse con un abbandono da parte di Fidel della scena politica, che se ne fosse andato, invece è ancora lì e continuerà a seminare terrore fino all’ultimo istante della sua vita. Finché non morirà, non ci saranno cambiamenti importanti a Cuba, poiché, come Stalin, continuerà a instillare terrore dal suo letto di morte, non soltanto al popolo ma anche al governo. Raul non ha rispetto né per la popolazione né per le forze armate, ha avuto e ha tutt’ora problemi – tutt’altro che leggeri – con alcuni dirigenti della rivoluzione, ma ha in suo fratello una magnifica guardia del corpo. Finché Fidel sarà vivo, nessuno lo aggredirà, ma il giorno in cui sparirà la prima testa che cadrà sarà proprio la sua. Raul ha grandi nemici all’interno dell’attuale governo: il più grande è Ramiro Valdes e gli altri sono i compagni del comandante e generale Ochoa, che lui fece fucilare. Raul e Fidel avevano promesso che non lo avrebbero ucciso, ma così non fu, pertanto, Raul ha un conto in sospeso con i compagni di questo generale, che aspettano solo il giorno in cui Fidel morirà, perché questo conto venga saldato. L’unico che mantiene il controllo all’interno del governo è Fidel Castro. Ci sono pressioni molto forti da parte di fazioni opposte, ciascuna delle quali, alla morte di Fidel, cercherà di controllare il potere. Ma non c’è un gruppo che sia in grado di controllare gli altri da solo, pertanto, ci saranno feroci lotte interne con molto spargimento di sangue, si uccideranno tra di loro. Non credo che gli Stati Uniti s’invischieranno in questa storia e io non vorrei che lo facessero: la cosa migliore è proprio che si uccidano tra loro, risparmiandoci così una Norimberga cubana.
Questa è la realtà del mio paese in questo momento. Normalmente, non sentite parlare di questi argomenti sulla stampa, per questo desideravo condividerli con voi. Non ho parlato del mio libro perché potete leggerlo: troverete tutto quello che è successo nei miei ventidue anni di prigionia. Quello che posso dirvi è che tutti gli ingredienti necessari affinché avvenga un cambiamento nel mio paese ci sono già e lo dico a partire dalla mia esperienza, perché so che la capacità di assimilare il terrore ha un limite. Nei miei primi giorni di prigionia, vivevo terrorizzato ventiquattro su ventiquattro. La prima volta che le guardie entrarono menando colpi, le gambe mi tremavano, non riuscivo a stare in piedi e avevo un’oppressione al petto che quasi m’impediva di respirare, ero letteralmente terrorizzato. Ma l’essere umano si abitua anche a vivere nel terrore. Così mi accadde, dopo un po’ di tempo. Purtroppo, invece, quelli che non sono riusciti ad assimilare questo terrore si sono suicidati o sono impazziti.
Oggi, molte persone a Cuba sono al limite e non riescono più ad assimilarlo.
La fine del comunismo in Romania è embelmatica a questo proposito: quattrocentomila rumeni in piazza inneggiavano al partito comunista e a Ceausescu. In mezzo a quella moltitudine, un rumeno, che aveva ormai esaurito tutta la sua capacità di sopportare il terrore, alzò il braccio e urlò: “Morte al comunismo! Morte a Ceausescu!”. Chi avrebbe pensato che non lo avrebbero ucciso, lui stesso non ci avrebbe creduto, mai nessuno avrebbe potuto immaginare quello che invece accadde: in trenta secondi, i quattrocentomila rumeni che inneggiavano intorno a lui, si misero a urlare “Abbasso Ceausescu!”, e così finì il regime comunista in Romania. Un uomo, una scintilla. La stessa cosa può accadere anche nel mio paese oggi. Chi avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe finito il comunismo in Unione Sovietica prima che a Cuba?