È ORA DI LICENZIARE LA BUROCRAZIA

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amministratore delegato di Curti Costruzioni Meccaniche Spa - Gruppo Curti, consigliere di Confindustria Romagna

Il vostro Gruppo, Curti Spa, leader nei settori packaging, aerospace, wire processing, circular economy, co-engineering e manufacturing, ha partecipato alla delegazione di imprese dell’Emilia Romagna invitate a Houston, in marzo scorso, per incrementare la collaborazione commerciale con gli Stati Uniti – dove l’export regionale vale oltre 10 miliardi l’anno – e in particolare con alcune imprese e start up innovative del settore aerospaziale. Qual è il futuro della mobilità aerea?

Ritengo che la mobilità aerea sia un settore in grandissima crescita, perché poter viaggiare è sinonimo di libertà, quindi credo che le persone vogliano stare bene e questo avviene se sono libere. È soltanto questione di tempo anche per chi oggi purtroppo non può godere di queste libertà, più o meno assolute. Poter prendere un aereo e spostarsi in un altro paese è già un passo molto importante. Fra le poche cose positive dell’Unione europea sicuramente c’è l’opportunità di viaggiare senza confini fra stati, senza il passaporto e senza dover usare valute diverse. Questa per me è libertà. E che oggi si possa viaggiare anche con l’aereo implica che impiegheremo minor tempo per arrivare a destinazione. Inoltre, il numero di incidenti mortali è praticamente nullo rispetto a quello dovuto al traffico stradale. È chiaro però che, se le norme di sicurezza devono essere rispettate, è anche vero che non ci si può improvvisare costruttori di velivoli o imprenditori in questo settore, già molto normato forse anche per stabilire barriere commerciali che diminuiscano questa libertà, che tocca interessi protetti da parte degli stati. In Cina, per esempio, lo spazio aereo è dello Stato, quindi non si può volare liberamente, come invece avviene negli Stati Uniti.

Potremmo dire che la diversa fruibilità dello spazio aereo, che sia esclusiva dello stato, come avviene in Cina, oppure che sia estesa anche ai privati, come avviene in America, mette in rilievo due modi differenti di intendere la portata della cittadinanza?

Assolutamente sì, segna la differenza tra uno stato totalitario e uno stato democratico. In Cina, terreni, suolo, acqua, aria e così via sono proprietà dello Stato e il privato non può fare niente. È recente la grande riforma che ha consentito ai privati di accedere ai beni che erano di proprietà dello Stato, con il paradosso che gli uomini più ricchi del mondo oggi vivono in un paese che si dice comunista. Un po’ come avviene nei paesi arabi che esportano petrolio, dove vi sono pochi ricchissimi. Noi europei, che abbiamo inventato i fondamenti della democrazia, invece, rischiamo di venire surclassati di gran lunga per l’aspetto economico e finanziario da paesi come questi, che non sono democratici. È una questione su cui dobbiamo riflettere: noi stiamo arricchendo gli altri. Il mercato principale della Ferrari è la Cina, ma, se in Italia acquisti una Ferrari, sei guardato con sospetto, perché sei subito considerato un evasore oppure un delinquente.

Non mi dispiace che gli altri paesi diventino ricchi ma, così facendo, rischiamo di danneggiare noi stessi. In Italia, per esempio, siamo tartassati da una burocrazia e da una fiscalità che non hanno eguali nel mondo. Adesso accade pure che dobbiamo viaggiare ai trenta all’ora e la benzina costa oltre due euro al litro. Inoltre, le normative attuali costringono sempre più a costruire case a ridotti consumi energetici, ma poi queste case diventano delle fungaie per l’umidità che ristagna nei locali. Credo che abbiamo perso il lume della ragione e il buon senso.

In questo scenario cosa volete che sia lo spazio aereo in Cina? Il governo decide chi fare volare perché non c’è democrazia, come del resto già avviene in Russia. Si potrà parlare male dell’Europa o degli Stati Uniti, costituiti poi da una cinquantina di Stati con una propria giurisdizione, ma in questi paesi chi vuole volare può acquistare un aeroplano, ricoverarlo in un hangar e usarlo quando vuole. Non si tratta di differenza fra pubblico e privato, quindi, perché la questione è innanzitutto che gli Stati Uniti sono uno stato democratico, oltre a essere una nazione ricca.

Come può essere valorizzato il settore aeronautico?

In Italia si può fare poco finché governa la burocrazia. Noi abbiamo  impiegato anni prima di riuscire a certificare il nostro elicottero Zefhir. La normativa indicava la competenza di un ente, ma poi negli uffici preposti qualcuno si è accorto di non avere le risorse necessarie per effettuare la certificazione e la competenza è stata trasferita a un altro ente, l’Aereo Club d’Italia, che è stato molto collaborativo.

La questione è cosa può fare l’Italia per rendere i suoi cittadini più liberi. I governi di questo paese, per esempio, hanno tenuto in vita Alitalia per circa quarant’anni soltanto perché si trattava di un serbatoio di migliaia di voti, ma sappiamo bene che era necessario ridurre i costi e il numero dei dipendenti già trent’anni fa, mentre soltanto adesso è stata risanata con tagli drastici in modo da cederla ad altre compagnie aeree.

A proposito di libertà, cosa dovrebbe fare il governo per favorire, per esempio, l’apertura di un’impresa in Italia?

Occorrerebbe meno burocrazia e più semplificazione, meno tasse da pagare e maggiori investimenti nella scuola, dove vengano riconosciuti i meriti a partire dagli insegnanti. Le aziende sono costituite da persone che dovrebbero essere istruite e invece sempre più spesso si trovano ad assumere incompetenti. Abbiamo accolto in azienda lo studente di un istituto tecnico industriale per meccanici per lo stage estivo della scuola. Ebbene, dopo due giorni ci ha comunicato che non avrebbe proseguito, dicendo che questo “non è il lavoro per me”. Non ci era mai capitata una cosa del genere. Comunque anche questo fa parte della libertà, finché non si limitano le libertà delle persone va tutto bene…

Le cronache documentano come non sia in atto una crisi del lavoro quanto piuttosto di lavoratori, considerata la richiesta incessante di collaboratori da parte delle aziende, con cui spesso anche le scuole tecniche non collaborano. Questo avviene perché sta passando nella vulgata l’idea che lavorare sia sempre meno necessario?

Attualmente, in Italia, il tasso di disoccupazione è del 7,8%, il più basso degli ultimi sedici anni, e in questa regione è sempre stato sotto al 5%. Probabilmente contribuiscono diversi fattori, che, anche a seconda dei settori, possono avere un’incidenza diversa. Nella ristorazione, per esempio, il turno di lavoro deve essere svolto in orari non ordinari, quando cioè altri rientrano a casa dal lavoro oppure quando aprono le discoteche. Se poi vogliamo essere ancora più precisi, potremmo dire che è un problema approcciarsi al lavoro come a qualcosa che si può “accettare” soltanto se impegna in orari comodi, perché indica che è preferibile essere sovvenzionati dai genitori o dallo stato. A coloro che si iscrivono a scuole di ristorazione – adesso molto di moda, grazie alla promozione nelle trasmissioni televisive – occorrerà spiegare quali sono gli orari per fare questo mestiere. È vero anche che gli stipendi netti spesso sono troppo bassi per sostenere gli alti costi della vita, ma questo avviene anche perché ci sono tanti diritti, mentre i doveri stanno scomparendo un po’ alla volta.

A questo si aggiunge anche la tassazione molto alta delle imprese. Noi lavoriamo in società con uno Stato interessato principalmente a incamerare soldi e, quando poi per esempio interviene un’alluvione, eroga finanziamenti in tempi che sono sfavorevoli alle esigenze del cittadino e delle imprese che ne avrebbero diritto. Provate a verificare quante sono le imprese rimaste di proprietà dei fondatori. Se le condizioni sono queste, chi può vende e, sempre più spesso, si rivolge ai fondi d’investimento o ad acquirenti stranieri.

Cosa comporta fare l’imprenditore in Italia?

Fare l’imprenditore adesso è molto difficile, perché non si può fare niente e vige sempre più la logica vessatoria. Sappiamo che l’Agenzia delle Entrate sta verificando le spese di ricerca e sviluppo che hanno contribuito ai crediti di imposta delle imprese, contestando le stesse come spese inesistenti benché documentate anche da perizie giurate. Tale contestazione comporta anche un reato penale con la necessità, quindi, da parte degli imprenditori, di dovere difendersi con l’ausilio di validi avvocati, distogliendo l’attenzione da quella che dovrebbe esserne il destinatario: la propria azienda. Ciò che lo Stato concede con le leggi finanziarie come beneficio per le spese di ricerca e sviluppo e per l’investimento in Industria 4.0 poi viene contestato dall’Agenzia delle Entrate (che è sempre lo Stato), evidentemente per colmare le voragini di debiti che si sono create con il reddito di cittadinanza e con il bonus 110%. Ma la giustizia esiste ancora in Italia?

Quali sono i vostri progetti in cantiere?

Con gli attuali tassi d’interesse e con Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, che pronostica ulteriori aumenti dei tassi, cosa si può fare? Si congelano i nuovi progetti e le imprese restano in attesa di tempi migliori. Noi abbiamo in ballo diversi progetti per ampliare l’azienda in modo da aumentare il portfolio dei nostri prodotti, per implementare le linee di packaging e anche il settore aeronautico. In Italia è urgente stabilire regole chiare e parametri certi. Altri paesi stanno giocando la loro partita per vincere. Da noi, invece, la burocrazia non gioca in squadra con l’Italia, ecco perché è ora di licenziarla.