LA DIREZIONE INTELLETTUALE DELL’IMPRESA NON È DELEGABILE
La valorizzazione delle idee di business attraverso la tutela della proprietà industriale sta diventando sempre più un asset irrinunciabile per la direzione intellettuale delle imprese. Lei lo aveva intuito quando ha deciso d’interessarsi a questa materia? Com’è incominciata la sua vocazione?
Quando mi sono laureato a Bologna in ingegneria meccanica, nel 1996, non avevo una vocazione particolare. Ancora prima di terminare gli studi, ero stato assunto dalla Sitcar di Casinalbo come responsabile di produzione per la linea dedicata ai camper della Laika. Non perché fossi uno studente modello, ma perché, come sosteneva mia madre, i laureati in ingegneria non erano mai abbastanza rispetto alle richieste delle aziende. Dopo pochi mesi dall’assunzione, mi telefonò il responsabile della sede bolognese dello studio di consulenza in proprietà industriale Modiano, il signor Venturoli, per convocarmi a un colloquio di selezione a Modena. Io non ero a conoscenza dell’esistenza di studi privati specializzati nella tutela di marchi e brevetti, pensavo addirittura che fosse esclusiva pertinenza degli enti pubblici. Tuttavia, grazie alla mia curiosità, mi recai al colloquio. La prova scritta non aveva nulla a che fare con la mia laurea tecnica: il signor Venturoli mi chiese di descrivere nel modo più accurato possibile la rappresentazione grafica di un’attrezzatura che serviva per spaccare la legna, perché “la competenza di un laureato in ingegneria in ambito tecnico è data per scontata, mentre la sua capacità di scrivere in italiano è merce rara”. La redazione del testo mi richiese così tanto tempo che, dopo qualche ora, fui invitato a terminarla a casa. Questo mi permise di esplorare la materia e di far sorgere in me un interesse inaspettato.
Ma la vera scintilla che si tramutò in vocazione per il mio futuro lavoro scoccò nel secondo colloquio, a Milano, dove incontrai Guido Modiano, l’ingegnere che aveva fondato l’omonimo Studio, un riferimento costante anche per gli altri studi di consulenza, oltre che per i responsabili delle sue varie sedi in Italia e all’estero. Ancora oggi ho la pelle d’oca quando penso al modo in cui sono entrato velocemente nelle grazie di un imprenditore così straordinario, che mi ha fatto innamorare fin da subito della materia. Era noto a livello internazionale, conosceva tante lingue e aveva una competenza tecnica e giuridica tali da essere abilitato anche a depositare brevetti negli Stati Uniti. Pur essendo il fondatore di una “multinazionale” della proprietà intellettuale, era un uomo di grande umiltà, che non si risparmiava mai ed era sempre pronto ad aiutare, soprattutto quando riteneva di avere trovato il collaboratore giusto per lo sviluppo di un suo progetto. Fin dai primi mesi mi fece capire che scommetteva sulle mie capacità di far crescere la sede di Modena, che fino ad allora stentava a decollare. E vinse la scommessa, grazie al mio impegno, al mio entusiasmo e al fatto che avevo tanti amici e conoscenti che operavano in aziende locali, sia fra i miei ex colleghi universitari, sia fra i compagni delle squadre di pallacanestro in cui avevo giocato. Tutto ciò portò un aumento tale di incarichi che, nonostante la sede fosse presidiata da consulenti più anziani di me, in breve tempo l’ingegner Modiano mi nominò responsabile, facendomi fare passi da gigante e coinvolgendomi direttamente anche per casi delicati che riguardavano le altre sedi dello Studio. L’ingegnere aveva instaurato con me un rapporto straordinario: potevo chiamarlo per qualsiasi dubbio e lui mi rispondeva a qualunque ora. Certo, io facevo la mia parte, nonostante fossi dipendente, lavoravo anche di notte quando occorreva, perché avevo il suo esempio di dedizione al lavoro, di rettitudine, di lealtà e di entusiasmo da emulare. E sinceramente non sarei mai andato via, prima della sua scomparsa nel 2005.
La direzione intellettuale dell’impresa è verso il valore assoluto. Nel suo maestro lei ha trovato un interlocutore che poneva sempre nuove sfide...
È questo l’approccio che ho ereditato e trasferito alla Brunacci & Partners: se noi oggi siamo una realtà importante è anche perché credo di essere sempre stato un esempio a mia volta per i soci, per i dipendenti e per i collaboratori che lavorano con noi nelle nostre quattro sedi (Modena, Perugia, Milano e Trentino Alto Adige) e che hanno imparato a scommettere nella riuscita con impegno costante, a non avere paura di nulla e a non ritenersi inferiori a nessuno, ma soprattutto a mettere il cliente al primo posto.
Un imprenditore delega alcune funzioni, ma c’è qualcosa che non potrà mai
delegare: la direzione intellettuale, dando l’esempio, non sottraendosi mai a
ciò che occorre fare, anche nelle difficoltà e tra mille impegni, senza pensare
che qualcosa non gli competa. L’imprenditore che ha obiettivi da
raggiungere e “vuole bene” alla sua “creatura aziendale” difficilmente va a
giocare a golf durante l’orario di lavoro, è quasi sempre il primo a entrare in
azienda e l’ultimo a uscirne. E non deve mai pensare di essere “arrivato”, ma
proseguire con umiltà. La frase di San Francesco che è presente sul nostro sito
non è casuale, trasmette il mio approccio e mi rappresenta: “Cominciate con il
fare ciò
che è necessario, poi ciò che è possibile e, all’improvviso, vi sorprenderete a
fare l’impossibile”. È una frase che accompagna da sempre la Brunacci &
Partners e che non abbandoneremo mai.