ABBIAMO BISOGNO DI LAVORATORI, NON DI SUSSIDI

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amministratore unico di Maccagnani Ferro Srl, Budrio (BO)

Da oltre cinquant’anni la vostra azienda commercializza prodotti siderurgici, ma soltanto ora sta confrontandosi con due nuovi problemi: alle difficoltà legate al reperimento della materia prima in Europa, si aggiungono quelle di trovare tecnici capaci. Oggi sono molte le aziende che chiudono e, di converso, sono altrettante quelle che cercano nuovi collaboratori. Come spiega questa difficoltà di incontro fra domanda e offerta?

Quello che noi stiamo constatando è che il lavoro non ci manca, ma non troviamo chi ha bisogno di lavorare, perché per la cosiddetta forza lavoro è diventato più conveniente continuare a usufruire di sussidi di disoccupazione, del reddito di cittadinanza e di altre varie forme di sostentamento. In Riviera, nel giugno scorso, erano ancora vacanti 7.000 posti per lavoratori stagionali. Inoltre, spesso si presentano extracomunitari che non sanno parlare l’italiano oppure italiani che chiedono subito quando sono assegnate le ferie, prim’ancora di sapere quali saranno i propri compiti. Noi, per esempio, cerchiamo saldatori che siano capaci di leggere il disegno, di ordinare il materiale, tagliarlo e assemblarlo per poi andare nei cantieri a montarlo. Il 90% dei saldatori che si propongono, invece, chiede di essere coadiuvato da un collega che posizioni il pezzo da saldare e un altro ancora che sia pronto a spostarlo per far posto a uno nuovo. Oggi, più che la scuola in sé, sembra che sia l’insegnamento nella scuola a non funzionare.

Poi, l’altra questione è che l’elargizione di sussidi ha come effetto di demotivare all’impegno di lavorare. Quando lo stato abitua il cittadino a vivere con aiuti economici per un mese, non può pensare che il mese successivo questi aiuti non siano poi pretesi. Non sarebbe meglio, invece, fare in modo che ciascuno diventi indipendente dagli aiuti di stato? Facciamo l’esempio dei figli: un figlio va dal padre e gli chiede 20 euro per uscire con gli amici; poi, il sabato lo stesso figlio vuole andare al mare, ma questa volta non sono sufficienti 20 euro e ne chiede 100, che il padre gli dà senza battere ciglio. Questo figlio non imparerà mai a essere indipendente economicamente, se riesce a raggiungere ugualmente il risultato senza sforzo. Perché deve lavorare, se i soldi li ottiene in altro modo? Inoltre, spesso questo figlio sa di potere attingere non solamente ai fondi dei genitori, ma anche a quelli dei nonni. Quindi, se è più facile vivere con gli aiuti della famiglia, è logico che questa condizione induca poi a pretendere aiuti dallo stato.

Quali sono gli effetti di questa mentalità?

Grazie alle attuali politiche di welfare e a questo assistenzialismo, noi stiamo favorendo, né più né meno, quello che è accaduto in Grecia prima della crisi economica del 2009: il cittadino versava i contributi per la pensione e poi ne godevano in tre. Chi ha gambe e braccia buone deve lavorare. Ecco perché non credo affatto a chi dice che manca il lavoro: chi ha davvero bisogno di lavorare è anche capace di adattarsi, come fanno alcuni extracomunitari impiegati in lavori spesso rifiutati da altri. Poi, è sorprendente sentire ancora il pregiudizio secondo cui l’imprenditore può dire queste cose perché fa lavorare altri. Nessuno però valuta che spesso proprio lui lavora senza guardare l’orologio. La sottocultura dell’assistenzialismo ha danneggiato molto il mercato del lavoro.

Inoltre, se negli anni settanta era il dipendente a essere considerato schiavo, ora i ruoli sembrano invertiti. Non a caso sono sempre meno i cittadini che scommettono sull’apertura di una propria impresa, oberata com’è da continui problemi da risolvere. Le istituzioni dovrebbero l’apertura di nuove imprese (e non soltanto di start-up), anziché incentivare condizioni che sembrano fatte apposta per scoraggiare l’intrapresa.

Quali sono gl’indici della riuscita che hanno consentito alla sua impresa di proseguire fino a oggi?

Innanzitutto io sono il primo ad arrivare in azienda alla mattina e l’ultimo ad andare via, dedicando la gran parte delle ore della mia giornata a controllare in modo meticoloso ciascun aspetto. Poi, non è mancata una parte di fortuna, ma bisogna creare le condizioni per favorirla. In generale, la tendenza attuale scoraggia questo esercizio, perché anche la legislazione nazionale contribuisce all’appesantimento dell’azione amministrativa. La legislazione del lavoro, per esempio, è diventata un impedimento al lavoro stesso. Un indicatore preciso è dato dal lavoro dei commercialisti, i quali, se una volta andavano al mare già a giugno, oggi sono costretti a confrontarsi con cambiamenti repentini imposti spesso da norme retroattive. In passato, nelle piccole aziende erano in media sette i collaboratori addetti alla produzione e tre all’amministrazione. Oggi avviene l’esatto contrario. Poi, per quanto riguarda l’aspetto fiscale, sono troppe le leggi, dirette e indirette. Inoltre, mi permetto di far notare che i cinesi vantano grandi quantità di produzioni perché copiano bene quello che facciamo noi, a volte apportando qualche miglioria, pur non inventando quasi nulla. Perché anche noi non copiamo l’esempio degli stati che hanno una burocrazia più snella, una migliore amministrazione pubblica, una migliore organizzazione sanitaria e un altro tipo di magistratura, che per esempio non si accanisca su imprenditori che non accettano la logica degli aiuti statali?

Nonostante tutto, io continuo a investire nella mia impresa, anche se, quando recentemente ho rifatto la cartellonistica, ho preso la multa perché ho inserito il logo nel cartello degli orari di apertura. La multa viene calcolata sulle dimensioni del cartello, considerato una forma di pubblicità da tassare. Credo che in Italia abbiamo un problema di credibilità delle istituzioni, e mi riferisco anche al rispetto sempre più scarso da parte della cittadinanza verso le forze dell’ordine.