IL DISTURBO DI NON AVERE DISTURBI
“Disturbo”: strano vocabolo dall’etimologia complessa.
Legato a turba, folla, interpretata come
disordinato movimento; quindi “disturbo” è qualcosa che agita, che crea
confusione. Ma l’accezione corrente del termine disturbo mantiene una
certa ambiguità interpretativa, una sorta di confusione tra soggetto e oggetto:
il ragazzo “affetto” da ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder)
è affetto da un disturbo o sono i suoi compagni e insegnanti a essere disturbati
dal suo comportamento? O ambedue? Secondo la legge, se un medico certifica
che un ragazzo è affetto da quel disturbo, ottiene un’attestazione BES (Bisogni
Educativi Speciali), che impone insegnanti di sostegno.
Nella mia esperienza, ho conosciuto diversi casi di BES, ma,
confesso, non mi ero mai accorto dell’esistenza di disturbi, prima che questi
fossero attestati da una tale certificazione.
Disattento? O così incapace da non accorgermi di avere di
fronte un dislessico? O forse la dislessia non è così invalidante? Bisogna
riflettere sul senso delle cose. Parto da una famosa curva: la Gaussiana.
Esaminiamo un fenomeno complesso (non complicato, complesso perché
determinato da troppe cause concorrenti): questo si manifesta in numerose
istanze diverse. Supponiamo, per esempio, di valutare come si distribuisce
l’altezza di un maschio trentenne in una certa area geografica: pochi individui
di bassa statura, pochi quelli molto alti, mentre la maggior parte si attesta su
un’altezza intermedia, che corrisponde proprio alla media dei valori. La curva
che ne rappresenta la distribuzione è proprio una Gaussiana, e appare come
nella figura a sinistra. Da lì leggiamo che l’altezza media è un certo valore x
e che ci sono scostamenti in più e in meno.
Ovviamente, al cambiare della popolazione, cambierà la forma
della curva (figura a destra): una popolazione di quindicenni avrà una curva come
quella verde; se allargo il campione e includo bambini e adulti la
distribuzione si allargherà (curva rossa); se restringo i casi ai trentenni maschi
finlandesi, la casistica si stringerà intorno a un valore centrale, con meno
deviazioni.
Ma chi si colloca sulle parti esterne delle curve è forse
affetto da qualche disturbo? Certo che no! Fa parte della differenza
biologica. E sappiamo quanto questa sia importante per la sopravvivenza delle
specie: basti pensare che, per garantirla, la natura si è inventata la
riproduzione sessuata, in modo da continuare a “rimescolare le carte”! Ecco
allora che non capisco più cosa vuol dire disturbo.
Non nego che il problema sia difficile, ma proprio per
questo non amo usare un termine che sottende cosa sia giusto e cosa sia
sbagliato, cosa sia da accettare e cosa sia da correggere, cosa sia da
desiderare e cosa sia da reprimere. La distribuzione gaussiana è detta anche
distribuzione “normale”. Altro termine pericoloso.
La “norma” era una squadra usata anticamente per costruire i
muri diritti, e non porta con sé un giudizio. Eppure, la nostra lingua vede il
“normale” come l’opposto di “anormale”. Non è così.
Non sono in grado di esprimere una valutazione su casi
evidentemente negativi: ci sono molte sindromi degenerative, spesso di origine neurologica,
talvolta legate ad aspetti genetici, a malformazioni cromosomiche; molte
sindromi invalidanti non possono essere considerate banalmente come “un caso su
una parte esterna della curva”.
Però, non posso dimenticare che la schizofrenia, nell’isola
di Zanzibar, non richiede ospedalizzazione (a Zanzibar ci sono solo forme
lievi? O l’approccio alla sindrome è “socialmente” diverso?), che il PTSD (Post
Traumatic Stress Disorder) è assente in Indonesia, che la depressione è stata
importata in Giappone dalle big Pharma, con meccanismi di marketing
(mettendo in campo anche aspetti linguistici, come l’invenzione della dizione
“raffreddore dell’anima”); ancora, sempre a proposito di differenza, se
chiedete a un pellerossa quanti sono i sessi dell’essere umano risponderà che sono
quattro (e, a detta di numerosi scienziati, tale affermazione è ottimistica, ma
comunque più precisa della nostra occidentale che ci divide in due soli generi).
Sembra proprio che l’accettazione della differenza disturbi
la nostra cultura e che si preferisca avere regole per indicarci chi “è a
posto”. E, se qualcuno non lo è, bisogna ricondurcelo.
Ciò è bene, quando chi è “non a posto” è leucemico, ammalato
di tumore, diabetico, o semplicemente affetto da un’influenza. Ma il desiderio di
“normalità” va oltre, fino a spingere verso l’isolamento delle minoranze, con
situazioni estreme indegne di ciò che chiamiamo civiltà.
Vivere in un mondo standardizzato dà sicurezza. E preferiamo
eliminare i disturbatori della nostra pace, bollandoli come “disturbati”.
Preferiamo l’omologazione, anche quando questa diventa la
libertà di scegliere ciò che ci viene imposto da condizionamenti consumistici
del concetto di normalità.