COME DIVENIRE INTERLOCUTORI
Oltre a essere presidente di TEC Eurolab, che ha fondato
trent’anni fa insieme al suo socio Alberto Montagnani, dal 2018 lei è a capo
dell’ALPI (Associazione Laboratori e Organismi di Certificazione e Ispezione)
e, dal 2017, vice presidente di Eurolab, l’ente che riunisce le associazioni dei
laboratori di ventisei nazioni europee. In che modo lei avverte l’esigenza di
divenire interlocutore nei differenti ambiti della sua esperienza? A chi è
considerato interlocutore è richiesta una funzione che non si limita alla
capacità di essere fonte di informazioni il più possibile precise e obiettive
dal punto di vista tecnico o scientifico: premesso che l’onestà intellettuale è
il bene più prezioso, diviene interlocutore chi è in grado di restituire le
informazioni e le nozioni che ha raccolto, le analisi che ha compiuto, tenendo
conto del contesto in cui le trasmette e degli effetti che possono sortire nei
destinatari.
Chiaramente, il livello d’interlocuzione del Presidente
della Repubblica è differente da quello del presidente di un’azienda. Nella mia
funzione devo distinguere fra un’interlocuzione interna all’azienda e una
esterna: in quella interna, avvalendomi dei dispositivi di comunicazione messi
in atto – colloqui, riunioni, assemblee, consigli di amministrazione –, devo prendere
decisioni o influenzare decisioni, avendo prima raccolto dati tecnici, economici
e sociali, nel senso che bisogna tenere conto della vita delle persone. Per
esempio, di recente abbiamo discusso in CDA il caso di una collaboratrice che
ha chiesto un part-time in una funzione in cui non è previsto: i motivi che l’hanno
indotta a formulare la richiesta ci hanno portato a dire che dobbiamo assolutamente
riconoscerle il parttime.
Di che cosa abbiamo tenuto conto nella nostra decisione? Non
certo del processo aziendale, ma di una componente sociale, di un aspetto che
riguarda la vita di questa persona.
Non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo aziendale, ma si
deve operare con grande onestà intellettuale, anche se a volte dobbiamo
rinunciare a qualcosa per ottenere qualcos’altro: un gesto di umanità ha sempre
un effetto costruttivo.
L’interlocuzione con gli esterni, con i propri stakeholder,
invece, è più che altro di tipo negoziale: soprattutto in un’azienda di servizi
come la nostra, concerne le competenze e le esperienze che ci si scambia fra
clienti, fornitori e partner tecnologici.
Infine, nella mia funzione di rappresentante delle
associazioni di categoria in cui ho uno statuto direttivo, devo confrontarmi
con responsabili tecnici e funzionari dei ministeri competenti. Un’associazione
deve tutelare e promuovere gli interessi della categoria, da una parte, e
quelli dei cittadini, dall’altra. Mai oseremmo proporre ai ministeri o agli
enti di accreditamento soluzioni che siano a nostro esclusivo vantaggio e a scapito
della comunità, anche perché saremmo smascherati subito.
Voi siete interlocutori affidabili per gli enti pubblici
e per i cittadini che si rivolgono ai laboratori della vostra associazione.
Non è scontato… Purtroppo, non è frequente trovare qualcuno
in grado di stabilire un confronto con lo stesso approccio intellettuale, e non
si riesce a portare a casa i risultati, se dobbiamo fare i conti con una
persona che fa smaccatamente il proprio esclusivo interesse, che si tratti di
un fornitore, di un cliente o di un funzionario.
Non c’è incontro, se la conversazione è finalizzata… Ciascuno
deve cercare l’interlocutore al “livello culturale” in cui riesce a valorizzare
le proprie competenze, qualcuno che ascolti e con cui s’instauri il
ragionamento, non il battibecco. Oggi, invece, si tengono riunioni fra varie
organizzazioni che hanno interessi specifici da tutelare, in cui spesso c’è
contrapposizione, non interlocuzione. Non c’è scambio, per cui, anche davanti a
un obiettivo comune che ci porterebbe a raggiungere 100, accade che, se per
qualcuno questo 100 fa in modo che il proprio 15 diventi 14, allora, fa un
passo indietro, pensa solo a difendere i propri interessi e la propria
categoria. Questo è molto frequente nel dibattito politico, che procede per
dichiarazioni, senza ascolto: ognuno vuole dire soltanto ciò che lo riguarda e
poi non s’interessa neppure alle proposte che provengono dagli altri partecipanti
al dibattito, in merito a ciò che egli ha dichiarato. E poi si costituiscono i “tavoli
di lavoro” per dimostrare che c’è condivisione, inclusione, concertazione.
Quanti tavoli di lavoro! Per fortuna qualcuno va anche a
buon fine, però che fatica far convergere gli obiettivi. Accade che si
riuniscano otto associazioni, dichiarando tutte lo stesso obiettivo, ma poi
ciascuna cerca di portare acqua al proprio mulino, perché ciascuna ha il
proprio presidente, il proprio direttore, il proprio segretario, e c’è sempre un
motivo per un distinguo: “Sì, però, spostiamo quella virgola. Sì, però…”,
piccole differenze che impediscono di raggiungere obiettivi importanti. In una
riunione recente nel Consiglio Direttivo di Accredia, per esempio, discutevamo
come fare perché i ristoranti italiani all’estero siano davvero portabandiera
della nostra cultura in quel settore. Purtroppo, i vari distinguo, espressione di
interessi particolari, hanno portato, al momento, al nulla di fatto; magari in
altri contesti si discute di un ponte, di un’autostrada, di un’opera pubblica:
tutte attività che vengono rallentate perché c’è qualcuno che fa un distinguo.
Sono emblematici i casi in cui partecipano persone dello stesso ambito di
governance: il ministero è d’accordo, la regione anche, la provincia è
favorevole, ma il comune blocca tutto, perché: “Di qui non si passa”. Allora, i
cittadini di quel comune organizzano manifestazioni di piazza, e non conta se
il 99 per cento degli attori è d’accordo, perché per prendere la decisione occorre
che ci sia anche quell’1 per cento che manca.
Questo è il contrario dell’interlocuzione.
Accade così, per esempio, che opere pubbliche vengano
approvate, finanziate, poi bloccate, modificate, concertate nuovamente con i
vari attori, pronte a partire, salvo il sorgere dei comitati del no, che
bloccano tutto. E queste cose vanno avanti per decine di anni, con il risultato
che le nostre infrastrutture sono insufficienti a sostenere lo sviluppo economico
del paese. Direi che si tratta di un bell’esempio di mancanza di interlocuzione.
L’esito dell’interlocuzione non può che essere la riuscita, di un’iniziativa,
di un progetto, di un interesse che diviene comune. Il resto è battibecco
improduttivo.