IL VALORE DELLA CERAMICA ITALIANA NEL PIANETA
Lei e suo fratello Paolo avete proseguito e rilanciato il
progetto e il programma che vostro padre, il cavalier Lamberto, aveva avviato
nel 1969, fondando la Ceramica Serenissima S.p.A., insieme a vostra madre, Alba
Maria Spadazzi.
Il contributo che date al made in Italy – con questo e
con gli altri quattro marchi acquisiti nell’arco di cinquant’anni (Cir, Cerasarda,
Cercom e Isla) – è riscontrabile nella crescita costante del Gruppo Romani
S.p.A. in novanta paesi, ai quali è destinato l’80 per cento della vostra produzione...
I produttori di piastrelle del nostro distretto devono
essere ambasciatori del made in Italy, se vogliono mantenere il loro primato
nell’export mondiale. Dopo la perdita di tale leadership in conseguenza della
grande crisi globale, in pochi anni siamo riusciti a riprendercela.
Oggi, le industrie ceramiche italiane esportano un valore
che rappresenta oltre il 27 per cento del totale, mentre la produzione italiana
rappresenta solo poco più del 3 per cento dei metri quadri complessivi prodotti
nel mondo. Nella fascia medio-alta, siamo tornati a essere il primo paese esportatore,
perché la ceramica di lusso s’identifica tout-court con la ceramica made in
Italy. E tutto questo nonostante la concorrenza agguerrita di paesi come la
Spagna, che ha vantaggi competitivi notevoli sia per il minor carico fiscale
sia per le migliori infrastrutture che riducono in modo considerevole i costi di
trasporto.
Certo, mantenere questo primato non è scontato: occorrono
investimenti costanti in innovazione, ricerca e design, in una misura che è andata
crescendo in modo considerevole negli ultimi dieci anni, fino a raggiungere l’8
o addirittura il 10 per cento del fatturato. È raro trovare un altro settore che
arrivi a tanto per una quota solitamente destinata agli investimenti in ricerca
e innovazione.
Così come non c’è un altro settore al mondo simile alla
ceramica italiana, dove l’intero processo produttivo avviene nella stessa
azienda: si parte dalla lavorazione delle materie prime con elementi molto poveri
(fuoco, terra, acqua e smalti), ci si avvale di una ricerca di alto livello e
si realizza un prodotto con un contenuto tecnico di eccellenza, che poi viene
vestito e portato in giro per il mondo, facendo tendenza. Negli altri settori
c’è molta più parcellizzazione e ciascuna azienda si occupa di un segmento
della produzione lungo la filiera: nella maglieria, per esempio, c’è chi
produce il filato, chi lo tinge, chi fabbrica i tessuti, chi disegna i capi, chi
li cuce e, infine, chi li distribuisce.
I professionisti della moda intendono subito se c’è
qualità nel tessuto, nel taglio e nella confezione di un vestito.
Questo si avverte anche nelle piastrelle? Soprattutto
gli operatori professionali se ne accorgono in modo deciso.
E pensare che soltanto una decina di anni fa gli architetti
e i designers consideravano la ceramica una commodity, da utilizzare nei
progetti quando non avevano alternative.
Certamente, all’epoca non eravamo all’altezza delle loro
aspettative e, quando l’architetto o il designer era interpellato dal
committente, accadeva per lo più quando voleva caratterizzare la casa con
pavimentazioni particolarmente ricercate come pietre e marmi provenienti da
cave pregiate o legni esotici di ogni tipo.
Oggi, i prodotti naturali scarseggiano o hanno prezzi
esorbitanti, oppure non sono consoni alla cultura green, mentre la ceramica in
questo senso è più neutra. Inoltre, nell’ultimo decennio, c’è stata
un’evoluzione del prodotto ceramico impareggiabile, con imitazioni perfette dei
materiali naturali e con il vantaggio di un minor deterioramento, una migliore facilità
di posa e di pulizia, evitando la maggior parte di quei problemi relativi a
resistenza, deformabilità e salubrità, che spesso sono legati ai prodotti
naturali.
Dopo avere influito sul calo della domanda per i materiali
naturali, oggi la ceramica, per la prima volta, deve fare i conti con un
prodotto alternativo, l’LVT (Luxury Vinyl Tile) – sinceramente, non capisco
cosa ci sia di luxory in questo prodotto a base di plastica –, che sta
avendo successo soprattutto in paesi come gli Stati Uniti, dove chi cambia casa
è abituato a cambiare il pavimento con estrema velocità e difficilmente è disposto
ad accettare i tempi di posa di un pavimento in ceramica. A parte questa
caratteristica, la ceramica continua a mantenere vantaggi ineguagliabili: è uno
dei materiali più sicuri e igienici, non contiene plastica ed è completamente
riciclabile; ha una resistenza elevata al calore, resiste al fuoco e, in caso
d’incendi e cortocircuiti, non emette gas tossici e sostanze nocive per l’uomo
o per l’ambiente; è duraturo e la sua superficie è inalterabile, non si
graffia, non gela e resiste ai detergenti chimici più aggressivi, basta pulirla
ed è sempre bella e splendente come nuova. Questi e altri vantaggi sono stati
al centro della campagna I valori della ceramica, lanciata dalla nostra associazione,
Confindustria Ceramica, per contrastare questo nuovo materiale plastico, che mi
sembra anche decisamente anacronistico in un’era che sta andando verso un
pianeta plastic free.
I valori della ceramica made in Italy, però, non si
limitano ai vantaggi pratici rispetto ad altri tipi di materiali: soprattutto in
un Gruppo come il vostro, la famiglia rappresenta un valore aggiunto difficilmente
imitabile nelle realtà in cui non c’è questa esperienza.
Certo, mio fratello e io siamo cresciuti a “pane e ceramica”
e sulla pasta mettevamo il gres porcellanato grattugiato. Quindi, avendo
respirato in tutti i modi la ceramica fin da bambini, anche grazie a nostro padre
che ci ha sempre coinvolti, abbiamo esperienza di ciascun aspetto dell’azienda.
Io non sono mai stato nel mio ufficio a guardare quello che facevano gli altri,
mi sono sempre cimentato nella maggior parte delle attività di processo e
commerciali.
Quando l’ex presidente della Impronta- Italgraniti, Alberto
Spallanzani, ha intrapreso un’altra attività in un diverso settore, gli ho
chiesto come avesse acquisito le competenze in un settore così differente. “Se sei
riuscito a fare ceramica – mi ha risposto –, riesci a fare anche il resto, perché
in ceramica devi discutere di argilla, di campioni, di strategie commerciali,
di colore, di catalogo, tutto nella stessa giornata, e cambiare argomento
almeno sei volte”.
Quindi, lei è interlocutore di varie persone. Ma invece
chi sono i suoi interlocutori? Oltre a mio fratello, con cui sono andato
sempre molto d’accordo, a me piace avere tanti interlocutori, perché parlare e
ascoltare è la cosa più importante per chi deve prendere decisioni strategiche.
Quindi, incontro costantemente i dirigenti dell’azienda, dai quali colgo
preziosi suggerimenti e informazioni, ma non mi basta: non voglio correre il rischio
di ottenere una visione troppo piramidale dell’organizzazione e venire meno a
quello che è sempre stato il nostro leitmotiv di porte aperte e disponibilità a
parlare con ciascuno. Nostro padre ci ha insegnato che l’azienda deve essere un
luogo in cui ciascuno si sente sicuro di trovare ascolto, non un luogo che fabbrica
persone e poi le distrugge.
Quindi, l’interlocuzione è essenziale per la qualità della
vita nell’impresa, oltre che per la qualità e l’eccellenza dei prodotti. Se non
c’è parola, comunicazione, discussione, come possiamo accorgerci di ciò che non
va e di ciò che può essere migliorato in un prodotto o in un processo? Per
questo, mi fermo a parlare con chiunque in fabbrica e in ufficio, perché essere
al corrente di ciò che accade, proprio mentre accade, vuol dire riuscire a
risolvere prima o a prevenire complicazioni. A volte, i venditori si
meravigliano perché chiedo di essere chiamato quando arrivano i clienti in
visita: dicono che in altre aziende non sempre il presidente è disponibile
all’incontro. Io credo che un saluto, un sorriso e una parola, anche quando i
clienti sono stranieri e la lingua non aiuta, facciano parte dello stile che
distingue l’ospitalità italiana, siano un altro tassello del made in Italy.
In qualità di presidente della Commissione sindacale di
Confindustria Ceramica, quali sono le battaglie in cui si sta impegnando? In
questo periodo sono in corso le trattative per il rinnovo del contratto nazionale
dell’industria ceramica e materiali refrattari (circa 25.000 addetti, impiegati
in 225 imprese) per il triennio 2020-2022. Sono iniziate le schermaglie che ci
porteranno a trovare un accordo e speriamo che si tenga presente il “presto e
bene” auspicato dalle parti.
Rappresentando le industrie, ho il compito di lottare
affinché il costo del lavoro non sia penalizzante sul mercato globale. L’Italia
esporta oltre l’80 per cento della produzione nazionale e non possiamo
permetterci di avere costi fuori regime: fatto 100 il salario di un dipendente
italiano e spagnolo, l’italiano all’azienda costa 192, mentre lo spagnolo 165, oltre
ai contributi per la previdenza.
Se a
questo aggiungiamo che gli spagnoli hanno due porti ben serviti a pochi
chilometri dal distretto ceramico, mentre noi, dopo trent’anni, non riusciamo a
cantierare la bretella Campogalliano-Sassuolo per snellire il trasporto di
materie prime e prodotti finiti, credo che sia evidente la disparità di
competitività contro la quale dobbiamo lottare ogni giorno. È ora che il
governo agisca per smettere di sprecare e cominci a ridurre i costi per le
aziende e i dipendenti. Il primo taglio del cuneo fiscale nell’ultima
finanziaria è andato nella giusta direzione ed è avvenuto a favore dei
dipendenti, spero che un prossimo passaggio possa ridurre anche il costo per le
aziende. È importante che i nostri dipendenti guadagnino di più, ma se perdiamo
competitività, come possiamo garantire loro continuità lavorativa?