LA VIA DELL’ASCOLTO

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Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

All’arcaismo che dilaga in Europa – dal terrorismo islamista ai nuovi totalitarismi (Cina, Russia, Turchia), dalla dittatura della burocrazia al ricatto ambientalista – c’è chi contrappone i valori illuministici, in particolare il laicismo, come depositari della modernità e, dunque, della civiltà. Ma la questione della modernità può limitarsi alla distinzione tra potere statale e potere religioso o alla democrazia rappresentativa o alla parità dei diritti? In che modo l’illuminismo, con il suo naturalismo e il suo cosmismo, non si oppone, bensì si concilia in realtà con il radicalismo e il purismo islamico, russo, cinese, coreano? Nel libro La grammatica dello spirito europeo, della cui presentazione a Bologna sono stati tratti alcuni interventi pubblicati in questo numero, Armando Verdiglione scrive: “Rispetto all’idea radicale, all’idea pura, all’idea del mondo puro, del paese puro, i radicalismi convergono nel cosmismo, nel transumanesimo, in definitiva nel socialismo.
Da oltre due secoli, questo radicalismo si chiama illuminismo e prende la forma del laicismo. E dice ‘Basta!’: basta con il rinascimento, basta con il cristianesimo, basta con l’ebraismo! Basta con la questione ebraica, basta con la questione cattolica: basta con ciò per cui e con cui sono sorti il rinascimento della parola e l’industria della parola.
Scrivere la Costituzione europea all’insegna del laicismo, togliendo la base ebraico-cristiana dell’Europa (quindi, anche la base cattolica, rinascimentale dell’Europa), comporta una convergenza con il radicalismo islamico.
La storia di questi due secoli d’illuminismo (di laicismo) è la storia di questa convergenza, attraverso guerre e rivolgimenti, fra il radicalismo cosmista europeo (francese, tedesco e russo) e il radicalismo islamico”.
La modernità viene dal rinascimento, con le sue arti e le sue invenzioni, con la sua scienza e la sua finanza, non dall’illuminismo, con il suo purismo razionalista, ovvero spiritualista, contro il rinascimento.
La luce del rinascimento è la luce della parola, la luce delle opere di Leonardo da Vinci, della politica civile di Niccolò Machiavelli, della scrittura di Ludovico Ariosto, della scienza di Galileo Galilei, del diritto di Giambattista Vico. Luce che non si oppone alle tenebre come vorrebbe l’illuminismo, per distinguere il razionale dall’irrazionale, il corretto dallo scorretto, il puro dall’impuro, partendo dall’unità come causa per stabilire i criteri della comunità ideale. Sulla scia dell’esoterismo umanista, l’illuminismo resta misterico, deve illuminare le tenebre, fare luce: dal giustizialismo della rivoluzione francese al trionfo dello spirito di Hegel, l’illuminazione cancella la luce della parola. Con il suo velo luminoso, con la luce del nulla, l’illuminazione mantiene il mistero e genera la burocrazia.
Il colmo dell’illuminazione: la notte di luce o la luce nera del sufismo.
Coincidenza del purismo occidentale e islamico.
Partecipa di questo purismo illuminista e illuminato, e del suo prodotto, il giustizialismo, l’attacco giudiziario che in questi anni ha colpito Armando Verdiglione e la sua impresa, con il pretesto di irregolarità fiscali. Un attacco senza precedenti, che non è semplicemente un caso di malagiustizia, è un’inaudita criminalizzazione della libertà d’impresa, anzi, della libertà nell’impresa. Come notano in questo numero Carlo Monaco e Susan Petrilli, si è voluto colpire un pensiero, e soprattutto un’esperienza, non radicalmente corretti: se negli anni ottanta Verdiglione era stato attaccato per il suo pensiero non allineato all’ideologia imperante, nell’attuale attacco giudiziario è stato colpito per la sua impresa condotta con modalità non politically correct, per la sua struttura imprenditoriale e la sua strategia fiscale innovative, per i suoi dispositivi non standard e non conformisti. Un’impresa di servizi intellettuali, mirante a un profitto intellettuale, basata sull’ascolto, non sulla visione. Come ciascuna impresa che si attenga alla modernità.
L’attacco all’impresa di Verdiglione è un attacco a ciascuna impresa: come notano le testimonianze degli imprenditori in questo numero, quale impresa non poggia sull’intellettualità dei propri servizi? Quale azienda può limitarsi ai profitti contabili e sostanziali? Quale gruppo può poggiare sulle visioni dell’imprenditore anziché sull’ascolto, come nota Bruno Conti? La mitologia dell’imprenditore come visionario si accompagna a quella dell’imprenditore illuminato: mitologie fallimentari, ossequiose alla burocrazia, distanti dall’occorrenza dell’impresa e della sua direzione.
L’imprenditore illuminato intende l’impresa come comunità sociale ideale, è il daímon, è l’uomo che porta la luce, pronto a convergere con l’uomo di luce del sufismo iraniano secondo Henry Corbin. Ma l’illuminato è cieco e sordo, portatore del bene come limite del male, del sociale come nome del nulla.
L’illuminazione toglie il tempo. E il satori è, nel buddismo zen, l’illuminazione come stato di unione con il nulla.
Nell’illuminazione, scriveva Eraclito cinquecento anni prima di Cristo, “non c’è generare né distruggere; quindi, nessun movimento né cambiamento”.
La babilonese Ishtar, la grande madre, dea della luce, come l’egiziana Iside. Adamo l’uomo di luce, contrapposto all’Adam terrestre. Allah è la luce. “Anche Satana si maschera da angelo di luce”, scriveva Paolo ai Corinzi.
L’impresa non ha bisogno della guida di luce che la porti alla terra di luce, che è la terra del nulla, la terra mistica, pura spazialità senza il tempo.
La terra dell’impresa, il suo terreno, è attraversata dal tempo, non è spaziale, pura, cosmica. La luce non è visibile e nemmeno invisibile. La luce è prerogativa dell’ascolto, che solo consente l’intendimento.
Alla luce dell’ascolto, ovvero alla luce dell’intendimento. L’illuminazione nega questa luce, perché l’ascolto non è selettivo né elettivo, non serve a purificare dal male né segue la finalità del bene, cioè non serve a dissipare l’apertura, il due, nella dicotomia, nell’opposizione. Per questo, l’impresa della modernità non è l’impresa che segue le direttive convenzionali dell’industria 4.0 o si attiene ai criteri di determinazione del rendimento CAPM (Capital Asset Pricing Model), è l’impresa che procede dal modo dell’apertura, del due, in direzione del valore assoluto: il valore intellettuale, ovvero pragmatico, non quello convenzionale, ovvero spirituale.
La modernità: Il modo dell’apertura, il modo del dire, il modo dell’ascolto. La modernità dell’ascolto: quel che si fa si ode, si scrive, s’intende.
Sinesio di Cirene, filosofo e vescovo, scriveva nel quarto secolo: “Padre, concedi che la mia anima possa fondersi nella luce e che non sia respinta nell’illusione materiale”, qualificando così la materia come illusoria, spirituale. Per contro, la luce non invade la materia per divinizzarla, come invece vorrebbe Teilhard de Chardin, perché la luce che si trae dall’ascolto non è divina né spirituale.
La materia della luce è la materia dell’ascolto. L’ascolto è pragmatico, industriale, clinico. L’ascolto non è l’udire e non sottostà alla ragione, ma nessun ascolto con il cuore, con il “cuore aperto”, che “vibra” come vorrebbe Osho Raijnesh, così gradito a un certo cattolicesimo mistico spiritualista e ai sostenitori dell’empatia. La condivisione della sofferenza comporta la sordità, non l’ascolto. L’ascolto è senza comprensione e senza compassione.
L’ascolto e l’intendimento non dipendono dalla volontà, esigono il dispositivo pragmatico. Secondo l’occorrenza.
Facendo, ascoltando: dispositivo di ascolto, non centro o punto d’ascolto.
Nessun intendimento senza l’ascolto.
Con la cifrematica, l’ascolto è l’assioma della luce.